Osservandolo in questo periodo William Parker sembra essere sempre più impegnato nell’incisione di dischi piuttosto che vagare per il globo esibendosi sia da solo che in compagnia di noti nomi del jazz contemporaneo (David S. Ware, Susie Ibarra, Roscoe Mitchell e tanti altri).
Ma tutto ciò avviene ‘ora’, perché Parker ha dovuto lottare non poco per affermare in pieno la propria arte (composta da tecnica ed emotività) all’interno della scena internazionale.
Il suo nome sin dagli anni 60 compare in collaborazione con quasi tutti i protagonisti di quel periodo:Sam Rivers, Billy Higgins, Cecyl Taylor etc.
Il disco in questione, uscito per la newyorkese Aum Fidelity ( ricca di altri lavori dell’artista), lo vede insieme ad Hamid Drake creare un discorso incentrato sulla tradizione etnica e folcloristica a 360 gradi e tralasciare, secondo me, la vena più personale e musicale: il jazz.
Interessante osservare i due non suonare solo i consueti strumenti, contrabbasso e batteria, ma cimentarsi nell’uso di altri, dalle caratteristiche decisamente particolari – tablas, balafone, shakuhachi, frame drum- e quindi creare un duo vibrante ed energico, a tratti dalle tinte marcatamente esotiche.
I momenti più interessanti rimangono la samba metropolitana di Black Cherry,
la violenza impressa da Parker al basso con l’archetto in Chatima, l’allucinata e minimale Nur al Anwar, la tensione ai massimi livelli di Piercing the veil, forse la traccia più radicale e spontanea di tutto il disco.
Piercing the veil è un lavoro divertente e simpatico, ma non di sicuro il capolavoro di Parker, perciò speriamo che quest’improvvisa prolificità di registrazioni non diventi, come spesso accade, il punto debole di un’artista: ripetersi in continuazione.
Voto: 7
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