(Sire/Reprise 2003)
Ci risiamo: ‘operazione di difficile classificazione quella che Lou Reed compie con la sua ultima fatica’…
Pessimo inizio per una recensione e soprattutto delinquenzialmente abusato…
Ma il fatto è che Reed riesce anche stavolta a riconfermare il suo essere autentico portavoce di un free-thinking musicale che ha davvero pochi termini di confronto nell’odierno panorama artistico. Un tratto forse peculiarmente americano questo, che ancora una volta libera Lou Reed da ogni obbligo verso immaginari acquisiti, verso stilemi consumati e anacronistici, verso preoccupazioni di lasciti e memorie (l’iper mobilità statunitense non è fortunatamente relegata soltanto all’ambito geografico). Come molti veterani della musica, Reed sembra ora passare a dedicarsi con la calma dell’esperienza a operazioni del tutto fuori target, e proprio per questo del tutto sui generis.
“The Raven” non è infatti un concept album, almeno non nel senso tradizionale del termine e a meno di non considerare la figura dello scrittore americano Edgar Allan Poe come riducibile soltanto ai suoi racconti più noti.
Non è neanche un (senile) divertissement paraletterario, vale a dire uno sterile tentativo di ‘musicare’ passaggi libreschi che sempre cari gli furono in gioventù. L’operazione esclusivamente accademica è, ancora una volta, del tutto evitata dal nostro a favore di un ‘art rock’ di marca popular e colta al tempo stesso (per rendersene conto basterebbe guardare quei jeans e quel giubbotto da teddy boy che riescono ancora a non essere patetici nonostante i suoi passati sessant’anni).
Il tratto saliente dell’intera operazione è che Reed allestisce il suo nuovo album come un vero e proprio regista dell’anima.
Orchestra le situazioni più impensate (raduna intorno a sé un equipaggio tra i più compositi, da David Bowie a Ornette Coleman. da Steve Buscemi e Willem Dafoe ai Five Blind Boys of Alabama), crea conflitti emotivi (mai stridenti) tra le rilassatezze blues di I Wanna Know (The Pit and the Pendulum) , il pathos lugubre e sinistro di Perfect Day (con un interpretazione vocale del tenore Anthony davvero da brividi) e la leggerezza da avanspettacolo di Brodway Song.
Soprattutto taglia e cuce la materia letteraria curvandola ai propri voleri (cita, riscrive, inserisce versi suoi), fa riapparire fantasmi di sue precedenti composizioni musicali qui trasfigurate in veste ancor più evocativa. Aggiunge splendide songs dall’inconfondibile ‘marchio Reed’ come Who Am I? o Guardian Angel e ottime interazioni come Call on Me insieme alla compagna Laurie Anderson o Hop Frog in duetto con Bowie. Ed è di tutto questo lavorio che vive il disco in questione. Di tutto questo interscambio tra le diverse forme di comunicazione.
Quello che però sicuramente colpisce di più è l’intensità e la suggestività delle parti recitate (stile audio-romanzo per non vedenti), che costituiscono più di metà dell’album riuscendo nel miracolo di non appesantirne in alcun modo l’ascolto, anche perché ornate di musiche evocative ma mai invasive. Indimenticabile quella di Dafoe alle prese con la lettura di “The Raven” ma davvero penetranti anche tutte le altre proprio per la loro capacità di creare istantanei e tormentati horror movies esistenziali. La parola ha avuto sempre un ruolo fondamentale nella musica di Reed tanto che l’intera sua opera può essere considerata un’immenso ‘word-in-progress’, dalla parola musicata, alla parola ‘assente’ nei delirii strumentali, fino alla splendida parola recitata di “The Raven”. Un disco multiforme e unitario al tempo stesso, un disco capace di ‘parlare’ nel senso più vero del termine all’animo di chi ascolta.
In una recente intervista Reed ha dichiarato che esiste una differenza sostanziale tra l’edizione singola e quella doppia del suo ultimo lavoro, affermando che chi vuole vivere appieno l’intensa atmosfera dell’album deve ascoltare il doppio cd e lasciare il singolo a coloro che si accontentano di ascoltarselo in macchina (quest’ultimo infatti contiene tutti i brani musicali più tre brani recitati a fronte di ben trentasei tracce nell’edizione doppia) .
Per togliere ogni possibile dubbio vi dirò che ho provato entrambe le esperienze.
Incredibile ma vero: l’esperimento (anche se con risultati ovviamente diversi ) funziona perfettamente in entrambi i casi
Voto: 9
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