Edible Woman ‘S/t cdr’

(Autoproduzione 2002)

Registrato e mixato da David Lenci (Red House Recordings Studios). Autoprodotto. Dieci brani. Cantato in inglese. Basso, chitarra, batteria, voce (anche uno sporadico sax). Quattro ragazzi di Fano. Gli Edible Woman. E’ bastato un ascolto per generare un entusiasmo che ancora adesso (al cinquecentesimo) non ha perso un grammo della sua primordiale intensità. Ok, vi piacciono gli Shellac? Quella inconfondibile distorsione di chitarra tanto cara a Steve, insomma l’”Albini-sound”? Vi piacciono le bands italiane che hanno seguito quella “scia”? Sì? Allora vi piacciono gli One Dimensional Man? Godete con gli Uzeda? Nessuno vi può toccare i Logan? Sì? Sììì? Allora ragazzi procuratevi quest’album perché gli Edible Woman faranno sicuramente la vostra felicità. Amano definirsi noise’n’roll, definizione che ci sta tutta perché in effetti suonano come degli Shellac sotto amphetamine (reptile?) insomma più veloci, più dinamici, più duri, rock’n’roll, sì ma di quello più scorbutico e a-simmetrico (che ne so, sto pensando ai Jesus Lizard). La voce di Luca (spesso supportata da altre) è “fatta apposta” per questo tipo di suono: ora urlata, ora indispettita, ora stanca e melodiosa, ora una nenia lamentosa. Il basso e la batteria godono di un’empatia che sancisce l’ottima qualità della sezione ritmica. La chitarra. Scusate ma occore una digressione. La chitarra ha un suono, come dire, estremamente fresco, un suono che è sempre “uno spigolo vivo”. Una chitarra che è una cornucopia di riffs sferraglianti (ancora gli Shellac), sbilenchi (lo spettro degli Arab On Radar aleggia e si posa qua e là),riffs “colati”, “tremolanti” (ricordate i Sonic Youth di “Daydream Nation”?), spesso riffs potenti, nevrotici, taglienti, “matematici” che possono chiamare alla mente anche maestri del noise-metal come gli Helmet o del noise-core come i Botch. Non mi stupirei più di tanto, del resto, se i fanesi riscuotessero consensi anche tra i fruitori di hardcore New-School. Tutte le tracce, comunque, fanno alzare il pollice dato che l’intensità, lo spessore compositivo, la tensione si avvertono per tutta la stupenda mezz’ora che questo lavoro ti fa passare. Menzionerei solo Scapegoat ovvero la canzone perfetta degli Shellac che però gli americani non sono mai riusciti a scrivere. Mi raccomando non fatela ascoltare a Steve Albini. Potrebbe schiattare d’invidia.

Contatti:
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Andrea 3355460757
Nicola 0721823283

Voto: 10

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