Anofele ‘Akoe’

(S’agita Recordings/Fringes 2003)

Non voglio sorpassare il contenuto sonoro di “Akoe”, mi perdoni Adriano Scerna aka Anofele se, prima di cominciare a cimentare le mie parole su questo nuovo sentiero di field recordings, comincio col fare i miei apprezzamenti per la confezione cui viene presentato.
Carta trasparente, chiaroscuri sfumati raffigurano forme, geometrie all’impatto astratte, ma che, se viste con occhio razionale possono ricondurre a elementi anatomici e mille altre forme presenti in natura.
Si…perché la musica di Anofele è natura, o meglio attinge a tutto ciò che è possibile rubare, con sincerità, dall’esterno, dalla vita che gli pulsa dentro. Non sono patetico…puro realismo…per fortuna!
Romano di nascita, Scerna ha all’attivo diverse collaborazioni e progetti che animano l’underground nella capitale: dal duo Kar insieme a Marco Carcasi fino agli sporadici flirt con Maath, da cui è scaturito “Ziklus”, un plasmatico affresco dove stratificazioni elettroniche si univano alla pratica, o meglio spirito ‘concreto’, cari all’artista.
Smento ogni mia eresia, mi preme ricordare, in una recente mail ricevuta dall’artista dove dichiarava di essere uno dei pochi artisti della sua città (ma allargare l’obbiettivo non risulterebbe un eufemismo) che si priva (gentilmente…si rifiuta) dell’uso del computer o del senso generativo che potrebbe celarsi in esso. Tutto avviene tramite un lavoro, certosino, di pescaggio dall’esterno di ciò che lo affascina mediante mini disc, field recordings…
Rumori all’impatto insignificanti, fruscii, quotidianità e tradizione popolare vengono uniti per essere archiviati in pezzi unici, con un senso, una melodia, una linearità.
Ebbene, la dimostrazione del fatto che da mezzi ostici, poveri di tecnologia –modernista- possano generarsi costruzioni logiche…musica.
I riferimenti ad altri musicisti del ‘settore’ potrebbero spingerci ad un connubio tra la verve etnica di Koji Marutani e una maggiore spinta verso il movimento di Eric La Casa.
L’apertura di Ghnome? Akoe! ci reca un collage dai sottotoni oscuri in cui rintocchi, rimbombi, brusii vocali (persone che passeggiano probabilmente) flirtano con scorie stratificate di suono. In Proprio Accanto Alla Mia Porta la poetica si manifesta in toni più oscuri, l’ondulazione obliqua del suono ci ridona alle membrane esperimenti nero pece dei Coil.
Comunque risulta banale tentare di porre una descrizione dettagliata di ogni singola traccia, essendo travolti dopo ogni nuovo ascolto da suoni mai intercettati prima dal nostro orecchio. Chiare percezioni etniche (gamelan, percussioni metronomiche) giungono con Once Upon A Time: A Landscape, A Herd And…Help Me… (un sincero ricordo delle incisioni con Brian Jones dei Master Musicians Of Jajouka). Ma citare Stockhausen e, mi viene in mente, la sua “Helicopter StreichQuartet” mi allampana alla mente, sia nella parte finale, che in Eroso-to dove un drones, un ritmo, un rumore a mo di elica centrifuga continua a suonare incessantemente. Prosieguo tra stop and go tra frequenza elettrostatiche, sfregamenti metallici, vitrei, e textures ambientali. Aihmè siamo, anche questa volta, incappati in riferimenti altrui, ma concludere dicendo che l’origine di queste architetture abbia un rimando personale, un modus operandi, facente capo al solo Anofele mi sembra, più che giusto, sincero.
Un ottimo disco di ecologia metropolitana.

Voto: 8

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