Father Murphy ‘Father Murphy’

(Madcap Records Collective 2004)

Freddy e Chiara Lee, che firmano questo disco con lo pseudonimo di Father Murphy senza sconfinare troppo dal (in realtà sconfinato) recinto delle sonorità della giovane ma già inconfondibile Madcap.
Se la base di tutto il lavoro è naturalmente offerta dalle influenze rock nella sua ormai testata forma minimale, blues, e dagli inevitabili accostamenti con il primo Beck a bassa fedeltà, la sperimentazione sembra avere come limite autoimposto solo l’uso di strumenti giocattolo, o meglio suonati come se lo fossero, un confuso numero di sgangherate percussioni non ben identificate e onnipresenti che tengono il tempo. Come se non bastasse, in questo gioco di due musicisti, ogni suono più strano o rumore apparentemente casuale risale e occupa la prima posizione assieme al ritmo di una batteria suonata con poca cautela, lasciando spesso e volentieri la melodia trascurata a suonare sottovoce sullo sfondo.
Le voci, che qualche volta sono distorte attraverso telefoni o walkie talkie o rese lontane come in Liquid Center, sembrano tutto il tempo faticare per conquistarsi il primo piano, circondate dai suoni di bollicine, di maracas e tamburelli che insieme al rest sembrano avere come unico scopo quello di creare un’atmosfera o una particolare situazione, che sia una passeggiata in un bosco paludoso o una oziosa festa in spiaggia.
L’istinto cinematografico sembra pervadere in ogni traccia, tanto che non sarebbe difficile immaginare l’intero album come una soundtrack inseparabile dalle immagini che evoca ogni suono.
Warnings che chiude il disco ha una imponente lunghezza postrock, undici minuti indispensabili per contenere in sè un meraviglioso mucchio di rumori inquietanti e melodie che sfociano senza evidenti preavvisi in un rock distorto e minimale, una batteria à la Meg White che va a finire in nient’altro che in un brusco finale senza chiusura e un minuto di religioso silenzio.

Voto: 8

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Autore: ambra.g@gmail.com