(Nonesuch 2004)
Dopo una gestazione travagliata, preoccupante (per il precario stato di salute di
Jeff Tweedy) e lancinante sotto il profilo delle aspettative, è nato un
bellissimo fantasma!
Lo cullo tra le braccia, lo guardo e penso che è sano come il fratello maggiore
(‘Yankee Hotel Foxtrot’) ma ha gli occhi più vispi ed è abbastanza irrequieto.
No, non è mio nipote, ma il nuovo disco dei Wilco: spiazzante e variopinto, dove
convivono fragilità, sofferenza e la serenità che forse il “nostro” Jeff ha
raggiunto, pagando naturalmente la sua pigione.
Ascoltarlo è come avere il cuore appoggiato sul palmo di una mano calda che
quando meno te lo aspetti si chiude e stringe il pugno. La sensazione è proprio
questa sin dal primo brano At Least That’s What You Saiddove desolate
note di piano accompagnano una voce stritolata, quasi strozzata, creando
un’atmosfera sospesa, leggera, leggiadra; e proprio qui, quando si è riusciti ad
inquadrare la propria stabilità emotiva, i tasti del piano vengono presi a pugni
e decolla un assolo di chitarra caracollante, scomposto e liberatorio. I Wilco,
co-prodotti da Jim O’ Rourke ( come nel precedente capolavoro), giocano senza
schema, spiazzando l’ascoltatore che non deve far altro che farsi trasportare in
questo fiume di stati d’animo.
C’è spensieratezza rock ‘n ‘roll in I’m A Wheel; melodia disarmante in
Theologians; Hell Is Chrome, la classica ballata per piano e voce in stile
Neil Young che incoda si trasforma in un dolce mantra che invoca satana …Come
With Me. Kidsmoke, kraut-rock-psichedelico, martella pulsante per oltre
dieci minuti; Hummingbird, deliziosamente pop beatolsiana, ricamata da un
violino gigione; in Muzzle Of Bees c’è una cascata di soffici arpeggi
acustici che si allargano e si aprono ad elettriche rotonde ed urticanti (Jim
O’ Rourke docet). L’unico punto debole è Less Than You Think, ballata
malinconicamente scarna, che allo scadere del terzo minuto si abbandona a
frequenze modulate e ronzii per ben dodici minuti (sicuramente troppi) sfidando
la sopportazione umana. Il disco chiude con The Late Greats, un pezzo
festaiolo che sembra fatto apposta per stemperare gli animi ancora in
fibrillazione. Questi sono solo “assaggini” di un menù sonoro, gustoso
dall’antipasto al dolce.
Straordinariamente ispirati, fanno “doppietta” e ci regalano l’ennesimo
capolavoro.
Voto: 10
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Autore: elagiusti@freemail.it