(Pax Recordings 2004)
Tornano a farsi risentire gli Abstractions ad un anno di distanza dal precedente
e bellissimo ‘Ars Vivende’ che ci aveva letteralmente fulminato con
la sua complessa e sulfurea miscela che mescolava abilmente spettri free
e massicce mareggiate noise riconducibili caratterialmente ai God
più titanici. Nel frattempo molte cose sono cambiate dalle loro parti (gli
Usa), notevoli e tristi eventi hanno flagellato il mondo ed il sinistro Nuovo
Ordine Mondiale sembra essere sempre più un dato di fatto che la paranoia
visionaria di un povero coglione (vero mr.Bush?).
La rielezione in carica del presidente uscente, la terribilmente Dickiana nomina
a governatore del polpettone Schwarzenegger e sopratutto una strisciante
(manco tanto) sensazione di ritorno al passato (buoni e cattivi, bianchi e neri,
ricchi e poveri; comunque contrapposizione frontale e violenta in tutti i casi)
sono condizioni che hanno notevolmente influenzato la nascita di questo ‘Novo
Navigatio’.
Rispetto ad ‘Ars Vivende’ si è perso in impatto frontale e spirito
suicida, le atmosfere sono quasi sempre cupe e monoliticamente oppressive,
ma dal furore cieco dell’esordio non siamo poi tanto distanti per spirito; mutano
soltanto i tempi e l’ambientazione circostante poichè in quanto a peso
specifico questo ‘Novo Navigatio’ sicuramente non gli è inferiore.
Sembra essersi accentuata una propensione verso la ballata urbana allucinata e
trasfigurata che è cara ad Ernesto Diaz-Infante e maggiore spazio
si è ritagliata la voce di Dina Emerson che volentieri ci conduce
lungo percorsi prossimi a Dagmar Krause ed agli Slapp Happy come
nella splendida Lament The Fallen che suscita anche parallelismi edificanti
con Iva Bittova.
Nell’iniziale Freedom For The Known, nell’andamento e nelle scordature,
si può tracciare un’ipotetica linea retta che congiunge idealmente Bailey
ai Blast senza però perder di vista le innumerevoli influenze etniche
presenti nella ritmica.
Media e mOney Our DeMOCKracy e Christian Bush sono farina
del sacco dell’Infante che con qualche rumorino di fondo, una batteria strascicata
ed una chitarra che non ne vuole proprio sapere tinteggia cupe dissertazioni non
tra le più rassicuranti.
Ma da un certo punto in poi gli Abstractions in qualche modo sembrano anche voler
concedere una possibiltà all’ottimismo ed a una certa giocosità
che si manifesta più o meno sotto forma di uno spirito corrosivo umoralmente
prossimo al Beefheart più cabarettistico.
Le evoluzioni leggiadre e cangianti di The Moon, My Vision, la malinconia
combattiva di Voodoo In America? e di Deadly Silence svelano un
lato assolutamente nascosto degli Abstractions rivelandosi quiete zone di calma
meditativa dove riacquisire energie prima dell’assalto finale di Burn In Down
che sfuria, brucia e dà strada al silenzio.
Impro–dark?
Semplicemente uno dei dischi più belli dell’anno che si sta per concludere.
Voto: 8
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