Mercenary God ‘Burning Generation’

(Big Star Rolling 2004)

Siano benedetti tutti i giorni della memoria, siano benedetti coloro che non cancellano con un colpo di spugna il passato. Almeno quello che ha segnato un epoca. Sia essa scomoda oppure no. E quindi un doppio plauso, per il coraggio e la tenacia, ai ragazzi della Big Star Rolling, giovanissima etichetta pervicacemente dedita al recupero (sincero, va da sé. E mi espongo in prima persona sulle genuine motivazioni dei nostri) del primissimo punk italiano, quello che diede la scossa e che passò fulmineo in alcuni media, tra una pagina di Ciao 2001 e un veloce servizio del TG2, giusto per far comprendere al popolino quanto brutti, sporchi e cattivi fossero quei ragazzi buoni solo per un servizio sovente clownesco. Passò veloce, ma ci rimase appeso ai neuroni indelebilmente, grazie a Dio e grazie a gran parte dei gruppi dell’epoca. I Mercenary God di Kermit (che – a dispetto di Punkrazio – mai incontrai di persona, pur abitando ragionevolmente vicino) furono una delle glorie di quella Pordenone che nel Great Complotto trovò la via per una Rough Trade padana dalle scarse soddisfazioni commerciali ma dal seme fecondo e dalla lunga gittata. E’ con grande goduria che oggi si possono approcciare le undici tracce – rigorosamente in vinile, ovvio – del fantomatico disco mai pubblicato dalla band friulana, quel Burning Generation datato 1981 e rimasto ad impolverare nei cassetti fino all’avvento dei ragazzi di cui sopra. Imponente punk and roll che stava già cercando d’affrancarsi da modelli ormai scomodi dacchè brani come Do You Like Disco? o No Glory pur partendo da istanze punk già si stavano infettando con i migliori virus post. Grande scrittura, tuttora incorruttibile (suona sorprendentemente attuale a dispetto dei cinque lustri), con freschezza e intelligenza ad indicare la strada. Come in Have A Gap,che parrebbe avere germi Wire/Spizzenergi al suo interno; oppure Out Of Fashion e Don’t Go, due power pop che in un mondo migliore (e dunque non porco e Tiffany/BritneySpears di turno oriented) avrebbero trovato la sommità delle classifiche e asilo in un paio di 12”. Quando arriva So Sweet (I Could Be) resto basito nell’apprendere come non avrebbe sfigurato in un singolo degli Stranglers; mentre una maestosa title track (o la sua speculare I Hate You) mi riportano ad una bellissima crasi tra Ramones e Adverts e Do The Khomeini è un apice new wave che già guarda a Fall e P.I.L. gettandomi diligentemente K.O. A dispetto di tutte le apparenze, a dispetto del nostro essere provincia dell’impero (oggi più che mai) continuiamo ad avere la riprova (come Gaz Nevada, come Lux Fero – quando ne potremo avere un assaggio? – come i Krisma, come i Wax Heroes) di come sotto le coltri e le braci covasse un fuoco che davvero avrebbe potuto bruciare gran parte di quei palloni gonfiati (ad elio, e quindi tuttaltro che ignifughi) che ancor oggi ci ritroviamo tra i gonfi attributi assieme ad innocui e fastidiosi ‘gggiovani’. Sarà un problema mio, ma meglio dunque un Kermit di 25 anni orsono che tutti i Verdena d’oggidì. E chiedo scusa a Kermit.

Bigstarrolling@libero.it
Mercenarygod@rocknotes.it

Voto: 10

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