Pita ‘Get Off’


(Hapna/Fringes 2004)

C’è bellezza nel rumore? Forse è questa una delle domande che animano l’attività musicale di Peter Rehberg ovvero Pita, un nome un suono, l’anima intransigente e rumorosa della nuova elettronica, nonché uno dei padri storici dell’abusatissima estetica glitch. Chi ha avuto modo di vedere il nostro dal vivo sa di cosa può essere capace la semplice accoppiata uomo+PowerBook: volumi sonori ben oltre le capacità di sopportazione umana, algoritmi del caos, gelide e implacabili tempeste siderurgiche che spazzano via ogni concetto di musicalità. Tuttavia questo nuovo album, frutto dell’attività live di Pita in giro per il mondo nel periodo 2002-2004 si presenta relativamente variegato, e in diverse occasioni si allontana volentieri dal sentiero del solito assalto frontale per esplorare nuove strade. E’ bene dire che questo non significa abbracciare sonorità maggiormente accomodanti, poiché ‘Get Off’ aggiunge nuove inquietudini alle vecchie ossessioni rendendole più misteriose e sfuggenti, ma anche più disturbanti. Ad aprire il lavoro la breve Eternel, insolitamente lineare e composta al primo ascolto; un semplice drone ad alta frequenza che si muove indisturbato verso l’alto, come una lingua di fuoco. In realtà qualcosa inizia ad agitarsi maleficamente nell’ombra, nebulose nere ed impalpabili che si muovono sfuggenti, accrescono la tensione e anticipano quel formidabile congegno psichico, nonché apice dell’album, che è Like Watchin Shit On A Shelf (complimenti per il titolo!). Masse informi e lontane, che si avvicinano lentamente, si radunano e formano una scura coltre ambient screziata da cigolii metallici, che poi, all’improvviso, con effetto quasi shock, viene spazzata via da un’eruzione di frattali noise che si diffondono incessanti, sempre uguali e sempre diversi, mentre in sottofondo pare di udire degli spettri di voci abbandonate. Il Pita più classico appare in Resog 45, con il suo rimbalzare da un canale all’altro nei suoi vortici di pulsazioni ed escoriazioni di bit frantumati, e nelle pugnalate in continua mutazione di Babel, mentre negli altri brani sono ancora predilette atmosfere scure e minacciose in cui la frenesia rumorista viene soffocata e lasciata evaporare lentamente, non senza esalazioni velenose. Chiude Retour, triste e desolante carillon minimalista per menti disturbate che risuona a lungo rincorrendo se stesso in circolo per poi scomparire nel nulla. Un’ottima prova che testimonia come Pita abbia ancora delle cose da dire, alla faccia dei suoi numerosi detrattori.

Voto: 7

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Autore: fractaldrone@gmail.com