(Wea 2005)
Inizi ad ascoltare l’ultimo CD dei New Order, “Waiting For The Sirens’ Call”, con in testa tante aspettative ed un poco di diffidenza – gli anni che passano, il fatto che Gillian Gilbert ormai non faccia più parte della squadra (soprattutto dal vivo è il chitarrista Phil Cunningham a dare una mano) – e ti ritrovi un paio di tracce che non sembrano certo sprizzare salute da tutti i pori (Who’s Joe e Hey Now What You Doing), con tante chitarre ed il basso di Peter Hook che da solo non può fare la differenza. Il suono sembra la de-evoluzione del precedente “Get Ready”, il loro CD più “rock”: intendiamoci, la qualità è sempre buona, ma non a livello della loro fama.
Poi arriva la canzone che da il titolo alla nuova raccolta e le cose si rimettono a posto: malinconiche folate di tastiere che sappiamo (arrivano da “Power, Corruption & Lies”, del 1983…) e un incedere mestamente velvetiano. Krafty è “sintetica” e trascinante (merito anche della produzione di John Leckie), con la voce di Bernard Sumner che suona così incredibilmente giovane da non sembrare vera. La successiva I Told You So rimane leggermente incongrua nel suo ritmo giamaicano (vecchia passione dei New Order, fin dalla Turn The Heater On della “Peel Session” 1982: ma li prevaleva ancora il “rigore Factory”…) e Morning Night And Day rinfocola i dubbi espressi all’inizio (la mano di Stephen Street non sembra essere amica del gruppo di Manchester). Meglio sicuramente Dracula’s Castle, di notevole pregio melodico e pregna della malinconia estiva che ha caratterizzato i loro brani migliori (fa venire in mente la poco conosciuta ed accorata 1963, circa 1987): Jetstream invece è modesta, debilitata dalla partecipazione vocale di Ana Matronic e dalla produzione di Stuart Price (che ha collaborato anche alla stesura del pezzo) che contribuiscono a creare atmosfere degne del peggiore “british pop”. Price si riscatta con Guilt Is A Useless Emotion, un brano dal ritmo “hi-energy”, in cui le voci femminili di Dawn Zee (presente già nel precedente CD) e Beatrice Hatherley hanno parte tutt’altro che pleonastica. Anche Stephen Street infine ha la sua catarsi con la rigogliosa Turn, scorrevole come non mai. Chiude Working Overtime, piuttosto anonima (pure lei infettata dal virus del “brit pop”, in ritardo per giunta…).
In conclusione Hook, Sumner e Morris ci offrono undici brani diseguali, tra una maniera ancora ricca e produttiva e un presente che neppure loro sembrano avere ben chiaro.
Voto: 7
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