(Cam Jazz 2006)
Diverse testate ultimamente hanno cominciato a menarla con la storia del
jazz italiano da esportazione; le solite stronzate.
Ascoltatevi questo dischetto schivo e poi, ditemi cosa è; che dovrebbe
realmente essere esportato (quei pomodori mosci tanto decantati forse?).
Due contrabbassi ed un batterista con il pallino della manipolazione digitale,
una struttura leggera ed una scrittura complessa ed istintuale.
Un’indagare divertito mai scontato fra le pieghe di un suono spesso scorbutico
che volentieri si tramuta in sorriso aperto e consapevole, un linguaggio che in
poche battute riesce a far convivere in maniera sublime scatti mingusiani
ed ascendenze africane.
Roberto Bellatalla si è rotto le ossa nell’Inghilterra anni settanta
nutrendosi delle intuizioni più folli e libere del periodo.
Michele Rabbia è percussionista inquieto che non si lascia andare
all’indulgenza, perfetto collante fra corde stridenti in battaglia.
Giovanni Maier da solo o in orchestra è in continuo viaggio verso
nuove intuizioni; un’altro che non conosce il termine indulgere evidentemente.
Disco quasi perfetto, ostico e commovente, sinuoso e scontroso; un calcio nelle
palle a chi crede che la scena jazz nostrana sia quella dei baracconi estivi.
Prendeteli e chiudeteli in una stanza con strumentazione; non la cercheranno
mai la via di uscita.
Giovannino Ready At The Bell, strappi di elettronica sibilante, oggettistica
scombinata che si muove rettilaria sullo sfondo; due archetti che si intersecano
in un’aria mediterranea che puzza di sudore ancestrale.
Un crudo girovagare periferico sotto un sole cocente che ti stordisce; uno schiaffo
dato ad un sogno crollato.
Umori etnici che brillano sotto un sole sfolgorante, elettronica opalescente da
stordimento oppiaceo.
L’ansia vitale dell’Art Ensemble sottopelle che emana calore, le pose combattive
di Moe! Staiano e la sua delirante orchestra ad un passo (e loro non sanno
di essere più avanti!).
Insomma in conclusione, io sono un povero stronzo e vi concedo l’onore di potermelo
comunicare attraverso mail dal sapore dolciastro, ma vi scongiuro; fate vostro
questo cd.
Little Man In A Jar e la sua cupezza psicotica.
La bellezza accecante di Something You Can Do Whit It, un frammento in
odor Cold Blue celestiale.
Non hanno raccolto un briciolo di quel che meriterebbero ed oltretutto comincian
pure a stagionarsi!
Sosteneteli (ora)!
Insieme a Roberto Bartoli il meglio che si possa trovare in circolazione
dalle nostre parti.
Voto: 8
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