Deaf Center ‘Pale Ravine’

(Type/Baked-Goods/Wide 2005)

Immagino, ma potrei sbagliarmi, che David Lynch per le musiche dell’imminente, attesissimo THE INLAND EMPIRE si sia ancora una volta affidato ad Angelo Badalamenti, e seppure raramente nella storia del cinema i binomi tra musiche e film  sono stati altrettanto riusciti, quasi legati da un cordone ombelicale, come in questo caso, il duo norvegese Deaf Center potrebbe ben aspirare in futuro ad una collaborazione con il geniale regista. E’ dunque sin troppo banale ricorrere al termine cinematico per descrivere le musiche in slow-motion di questo disco. Note che fluttuano e si espandono come nuvole nere, avvolgono ogni cosa, confondono la percezione e disegnano nuovi scenari. Scenari che non sono esattamente luoghi di tranquilla villeggiatura ma che sanno di cose abbandonate, di corpi morti in lenta decomposizione, di figure senza forma che si muovono nell’ombra, di spazi temporali che sembrano essersi arenati per sempre. Scenari che si trovano ovunque e da nessuna parte, che crescono dentro di noi con le radici ben salde nelle più profonde sfere emotive, ‘imperi interiori’ dove l’angoscia regna incontrastata e indiscussa. Scenari che musicalmente vengono evocati ricorrendo ad un’unione di atmosfere e strumenti d’impronta classica, crescendi synthetici in evaporazione e campionamenti di vario tipo, spesso di derivazione naturalistica quali, lo scorrere di un fiume, una tempesta, ronzii d’insetti… Per certi versi un mix tra le atmosfere della label Constellation, i Labradford di El Luxo So e il citato Badalamenti. Apre le tristi danze la massa informe di Lobby seguita da Thread con i violini sommersi da uno sfarfalleggio insistente che si propaga da un diffusore all’altro. Ma il primo pezzo veramente notevole arriva subito dopo con la splendida White Lake, impregnata sino all’ultima nota di romantica decadenza. Un breve motivo di piano capace di scavare a fondo, tratteggiato da un ritmo marziale e funereo, mentre i synth appaiono e scompaiano come le onde stanche di un mare morente. Se alcune tracce del disco, sia pur molto affascinanti, possono a tratti sembrare un po’ di maniera e altre paiono soffrire atrocemente per la mancanza di un supporto visivo, questa si erge con superbia da tutto il resto. Altro picco dell’opera il thriller di Loft, rumori di qualcosa/qualcuno che tenta come di aprirsi un varco per passare ‘dall’altra parte’, ancora un pianoforte, che suona da lontano, come mosso dal nulla, e uno svolgimento della trama sonora che sembra sempre sul punto di accadere, ma diventa un continuo ‘coito interruptus’.  Cuore di tenebra.

Voto: 7

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