(Autoproduzione 2005)
Direttamente dal Salento arrivano i Leitmotiv, alla seconda autoproduzione con un ep dietro al cui titolo si cela non solo un omaggio al grande Tiziano Sclavi, ma anche una forte attrazione per l’oriente e la sua cultura: infatti “Safarà” è sia il nome della Bottega di Hamlin in Dylan Dog, “piena di cianfrusaglie ricche di storia, mistero, e magia”, sia la radice araba del verbo italiano “esplorare”, per tralasciare poi altri, molteplici significati secondari.
Se il primo aspetto emerge solo in parte nei testi, dai quali traspare una forte vena narrativa carica di tensione e magnetismo, il secondo caratterizza fortemente l’aspetto prettamente musicale di molti dei brani qui presenti, ad iniziare dal brano d’apertura, Arabian Love, fondamentalmente un mix di rock/blues e sonorità provenienti da Levante: un motivo intrigante, vitale e fumoso sul quale si staglia una chiara, netta denuncia all’opulenza della società occidentale tutta, Italia in primis; coordinate principali la Seattle del grunge e soprattutto i vecchi Litfiba, quelli prima della muffa: sensazione che si fà certezza nella successiva 24H, più diretta, più lineare, insomma più smaccatamente rock, con la voce di Giorgio Consoli che si assomiglia in maniera impressionante a quella del signor Pelù.
Altra tappa fondamentale di questa esplorazione verso est è Nuhar, cultura e poesia, ricco gioco di odori sonori dispersi in aria e di ritmi dissolti nel fumo, una trappola di sogni così come Chanson pour L., musica intrigante e ottima voce, qualità elevata.
La faccia grunge dei Leitmotiv emerge invece con più forza in Puerto Nuevo (qui anche echi new wave) e soprattutto in In the name of the father, all’incrocio tra Stone Temple Pilots e Pearl Jam, con chitarre Cantrelliane qua e là…ben realizzate ma non lasciano il segno più di tanto; da segnalare la psichedelia trasognata di Looking Forward, primo in scaletta tra i brani in inglese qui presenti, e Balocchi, pezzo di chiusura, acqua mista a lucide note di chitarra che scende in pioggia, e sopra un testo recitato in italiano seguito da un malinconico cantato inglese… un qualcosa dei Temple of the dog, convince di più il lato strumentale.
Ma la chicca del lotto è I funerali del pollo, bislacca marcetta, cirense e ubriaca, che chiama in causa nel turbine di riferimenti nientedimeno che Vinicio Capossela: tra il recitato e il cantato, suono che si fa teatro, pura letteratura, politicalmente scorrettissimo, I funerali del pollo è senza dubbio la canzone più interessante dell’album.
Molta la carne al fuoco in questo “Safarà”, anche di buonissima qualità, ma rimane l’impressione che i Leitmotiv trovino difficoltà a definire un proprio sound caratteristico, preferendo piuttosto oscillare tra le varie alternative, seguendo di canzone in canzone questa o quella via, lasciando sul tavolo i vari ingredienti senza mescolarli completamente.
In tutti i modi, solo un problema di tempo. La puzza di qualità si sente lontano chilometri. Io, intanto la mia preferenza l’ho detta: meno Seattle, e più polli morti…
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Voto: 7
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Autore: alealeale82@yahoo.it