(Vermillion/Seahorse 2006)
I Melomane sono un collettivo americano, attivo dal 1998 e di stanza a Brooklin, dedito ad un pop barocco, caratterizzato da strutture dal sapore arty e da un andamento cinematico, che mescola spunti sonori che vanno dalla classica al grunge. Leader della line-up è Pierre de Gaillande (chitarra e voce), coadiuvato, in questo “Glaciers”, terzo lavoro della band, da una selva di musicisti, tra i quali spiccano Quentin Jennings al wurlitzer e alle tastiere, Daria Grace al basso, Kenny Savelson alla batteria e Frank Heer al cello e all’armonica.
“Glaciers” si compone di 11 tracce (nove delle quali scritte da Gaillande e le restanti da Jennings), ibrido non sempre perfettamente riuscito di generi e spunti sonori disparati. Prendiamo, ad esempio, la traccia di apertura, Hilarious, in cui, su un tappeto ritmico a tratti sfuggente, si incontrano un arpeggio acustico di stampo folk ed un finale che mescola chitarra elettrica (pop-grunge?) e sinth; o ancora Pistolla di Colla, che ha un aroma brit, ma mescola i Pulp di Common People con la citazione del tema del coppoliano “Il Padrino”. Unfriendly Skies occhieggia agli anni ’60 con una sensibilità decisamente moderna, che fa venire in mente a tratti i Libertines; This Is Skyhorse, invece, dapprima fa il verso a Bizet in chiave grunge, poi si rimangia tutto mettendo in piedi una jam blues-rock, con tanto di armonica e riferimenti al sound dei tardi anni ’60, Led Zeppelin e Doors in primis. La conclusiva Kill Kill Kill ha un andamento minaccioso (come si conviene ad un brano con un simile titolo), frutto dell’incontro tra elettronica e rock.
A leggere, sembrerebbe tutto a posto: influenze diverse, citazionismo, coraggio, strutture articolate. Ma non è tutto oro quello che fa luce. Il disco, infatti, soffre di un grave problema: non ha un anima. Difficile, una volta spento il lettore CD, che rimanga in mente anche uno solo dei brani appena ascoltati. Le acrobazie compositive o di arrangiamento, per quanto interessanti, attraversano l’ascoltatore come un fantasma le pareti e non lasciano tracce. Un disco così non può neppure candidarsi ad essere definito “grande”. Neanche mediocre, però: perché le idee ci sono (anche troppe, forse), ed alcune sono davvero ottime. Voto sufficiente, dunque, ma che peccato…
Voto: 6
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