(Mescal 2006)
Questo disco ha due gravi problemi. Il primo è, ahimè, abbastanza frequente quando ci si imbatte in opere”politiche”: la retorica. E “Il Grande Niente” ne è pieno fino al midollo, tanto che i testi, più che per lo spirito battagliero o di denuncia di cui sono intrisi, finiscono per impressionare per l’assoluta piattezza della esposizione, per il ricorso, involontario ma abbondante, al luogo comune. Prendiamo il pezzo d’apertura, la title-track: la canzone vorrebbe essere un duro j’accuse contro l’annebbiamento delle menti prodotto dalla società dei consumi, ma in pratica finisce con l’essere un irritante rap-rock, zeppo di stereotipi e rime da quinta elementare. Per non parlare de La Meglio Gioventù, “originalissima” fin dal titolo (indovinate di chi parla…) o di Ala Sinistra, che scade nella retorica più trita dello sport come mezzo di riscatto e sconforta l’intelligenza dello spettatore con un mucchio di metafore politiche di una banalità imbarazzante (Lucarelli, “ala sinistra sola sulla fascia” ed altre robette così).
Il discorso vale non solo per i testi, ma anche per la musica. L’eclettismo della Casa Del Vento è un fatto tutto di superficie e comunque non approda mai a risultati sorprendenti: spaziando dal folk al rap, passando per ventate rock e suggestioni balcaniche, Luca Lanzi, cantante, chitarrista e compositore unico del gruppo, prova ad impressionare ma fallisce miseramente, perché non c’è nulla di memorabile in questa sua altalena sonora, nulla che non si sia già sentito milioni di volte.
Detto questo, va comunque sottolineato che qualcosa che si salva (sorprendentemente), però, c’è: il folk de Il Fiore Del Male, dedicato a Pier Paolo Pasolini ed impreziosito dalla vocalità cristallina di Ginevra Di Marco, Amore Infinito, una delicata ballad acustica condita da raffinate orchestrazioni (la viola ed il violino di Patrick Wright) o l’omaggio al folk celtico di Alla Fine Della Terra. Si tratta di tre pezzi in cui funziona tutto, dai testi alla musica. Non è un caso che si tratti degli unici momenti in cui il gruppo dismette le intenzioni “rivoluzionarie” e si concentra su ciò verso cui una band dovrebbe tendere: fare musica.
Si accennava a due problemi del disco: il secondo è la lunghezza. Quattordici tracce sono troppe; se si pensa, poi, che ciascuna dura più di tre minuti, be’ non è facile immaginare, tenendo conto di tutto quanto è stato detto sopra, quanto possa essere sfiancante l’ascolto del disco. Fosse stato un Ep, nessuno avrebbe gridato al capolavoro, beninteso; ma almeno questa iniezione di retorica e luoghi comuni che è “Il Grande Niente” sarebbe stata decisamente più sopportabile.
Voto: 4
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