(SmallTown SuperJazz/Wide 2007)
Quest’ultima uscita per i tipi della SmallTown SuperJazz (la costola incline allo studio del free jazz moderno, non esclusivamente europeo, della S.T. SuperSound) mette insieme alcune delle firme più out del panorama free e rocker nordico: Two Bands And A Legend è un marchio di indiscutibile qualità, contenitore di umori sfuggenti, che abbraccia la furia avant-jazz-core del trio The Thing (ossia il sax granitico di Mats Gustafsson e l’avvolgente ritmica dei due norvegesi, Paal Nilssen-Love e Ingebrigt Håker Flaten), la (oramai) pluridecorata psycho-garage band di Oslo dei Cato Salsa Experience e, infine, un decano (very cool) della free-music a stelle e strisce, pre e after AACM, come il multi strumentista Joe McPhee.
Insomma: una vera e propria bomba al napalm, questo primo full lenght, seguito al debutto del 2004 presso il norvegese Kongsberg Jazzfestival, quando i The Thing, insieme a McPhee, invitarono i quattro ragazzacci dei Cato Salsa a condividere il palco simultaneamente e a lanciarsi in una poderosa e inconsueta impro-session. E’ dal compimento di quel evento che prende corpo, senza nessuna sovra incisione e overdubbing, il primo ep, “Sounds Like A Sandwich”: vera e propria partenza-summa poetica del (super) combo, ove ci si imbatte in un’eccentrica e stupenda cover di Whole Lotta Love dei Led Zeppelin, una pomposa e caotica rilettura di Art Star dei wavers Yeah Yeah Yeahs e una ‘cantilenata’ Our Prayer di Don Ayler.
“Sounds Like A Sandwich” è un appuntamento imprescindibile, fondamentale per delineare con chiarezza le coordinate di questo ‘ensemble’ e per approdare meglio alla conoscenza del viscerale “Two Bands And A Legend”: sbalzeranno fuori prima gli intenti ‘nevrastenici’ del gruppo, posati tra l’anarchia pura della sperimentazione e la brama ‘erotico-sfrenata’ di catapultare strumenti e note dentro un repertorio GLOBALE; sterzato tra il free jazz di Don Cherry e l’Hard Rock dei settanta, stuzzicato dal caos e dal post-punk dei Sonic Youth, dalla (NO) Wave !!! dei Contorsion e dagli spasmi ‘armolodici’di Ornette Coleman.
(Co)dialoghi, ad un primo impatto, disgiunti l’uno dall’altro: non avremmo mai immaginato di inserire nel lettore un cd dove si coverizzano contemporaneamente Pj Harvey (nel blues pornografico di Who the Fuck), Gerry Roslie dei The Sonics (prima l’implodere dei ‘bassi’ e poi l’esplosione garage-festaiola sixties di The Witch), il rock ‘n’ roll di Richard Berry (con una destrutturazione ‘totale’ in pura salsa free di un classico quale Louie Louie) e menti libere dell’improvvisazione come Mongezi Feza (nella crescente armonia di You Ain’t Gonna Know Me ‘Cos You Think You) e il chitarrista afro-americano James Blood Ulmer (in una veste ambivalente, wave e fortemente colemaniana, di Baby Talk).
C’è da dire che gia i The Thing non erano estranei a simili iniziative, visto che si sono divertiti in più di un’occasione a (ri)trattare musiche di Pj Harvey, Don Cherry e altri ancora. L’unico brano, al contrario, che reca la firma di uno dei partecipanti è Tekla Loo che immortala un Gustafsson compositore, rapito a pieno titolo dagli stilemi più estremi della black music e dove un McPhee, in pieno delirio ‘Bakariano’, lancia le corde vocali in un’ancestrale reading che spalancherà le porte a sgraziati riff di marca noise e math.
Impossibile da evitare, ibrido complesso e beffardo, super jazz e avant rock sparati in faccia a velocità sonica, massi che cadono in libertà…
Un certo Thurston Moore, nel redigere le note di copertina, si/ci domanda, stordito dalla musica ascoltata, come si potrà mai definire tale mistura:
Jazz?
Rock?
Entrambe le cose?
Non riuscirà, per fortuna, a trovare nessuna risposta adeguata all’enigma, lasciando così trionfare la magica incertezza (e non regolarità) di questa ‘sporca’ musica.
Voto: 10
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