(Esquilo
2007)
Catania, Aprile 2006, Centro Culturale
Zo, in concerto il pianista John Tilbury (penso non abbia bisogno di
presentazioni, ma nel caso, basta dire dei suoi trascorsi nei
seminali AMM e della reputazione di cui gode in quanto
interprete delle partiture di Morton Feldman)
assieme al trio Looper per il progetto multimediale Mass.
Quest’ultimi sono sicuramente meno noti al “grande”
pubblico , ma per chi segue la scena sono nondimeno tre piccoli
fuoriclasse della nuova musica impro: Nikos Veliotis, violencello,
Martin Kuchen, sax e Ingar Zach, percussioni. In quanto Looper
consiglio di rimediare l’ottimo cd ‘Squarehorse’,
uscito qualche anno fa per l’etichetta Absurd.
Inutile dire che per il sottoscritto la serata live rappresentava un
vero e proprio evento, specie in una città in cui certa musica
non si può certo dire che abbondi, di cui godere a pieni
sensi. Purtroppo un piccolissimo dettaglio si frapponeva alla piena
fruizione del concerto: il pubblico! Ora capisco che non tutti devono
apprezzare la musica in scena, ci mancherebbe altro, ma chiedere un
po’ di rispetto per gli spettatori interessati e soprattutto per i
musicisti sul palco, mi sembra veramente il minimo sindacale. Invece
no, gente che passa e spassa rumoreggiando davanti al palco,
cellulari che squillano, commenti derisori ad alta voce, sorrisetti
stupidi e via discorrendo. In pratica un disastro. Risulta allora
quanto mai gradito questo splendido DVD che contiene due tracce
relative alle esibizioni di Oslo e Scavenger, assieme a tre spezzoni video in
cui si possono scrutare i quattro musicisti sul palco. Già,
perché Mass è, come dicevo, un progetto multimediale
costruito attorno alle sequenze video realizzate da Veliotis, e su
queste si concentra il grosso del DVD. Video misteriosi e
apparentemente statici, tecnicamente abbastanza semplici, assemblati
partendo da immagini sacre raccolte in rete. In prima analisi non
succede quasi nulla e il contenuto non è immediatamente
identificabile, essendo costituito da diverse raffigurazioni di
divinità religiose ed icone sacre, sovrapposte l’una
sull’altra che avvolte nel buio oscillano e mutano lentissimamente.
Private completamente dal loro significato, con i contorni non
delimitabili, diventano enigmatico effetto cromatico e texturale. Non
roba facilmente digeribile, difficile fissarle per quasi un ora senza
stancarsi, ma l’effetto è comunque affascinante e (molto)
ipnotico, sicuramente in perfetta sintonia con la musica, che,
diciamolo subito, è semplicemente magnifica. Misteriosa, di
una solennità quasi sussurrata, impregnata di un vago senso di
minaccia ed angoscia, scivola lentamente nel sistema nervoso e
finisce per occuparne gli anfratti più profondi. Mirabile
l’abilità e la determinazione con cui Veliotis riempie lo
spazio di un droning trattenuto ed impalpabile, mentre Zach fa
avanzare dal buio piccole creature sonore che di volta in volta
scricchiolano, tremano, vibrano, rotolano, brillano; microscopici
effetti percussivi che tuttavia scandiscono con precisione il tempo
sospeso delle esibizioni. Quasi fantasma che aleggia inosservato, il
sax di Kuchen, con il suo respiro debole ma insidioso e costante. Su
un fondale di tale surreale fattura,
fatto di oscurità insondabili ed improvvisi, lancinanti
abbagli, Tilbury si trova facilmente a suo agio nel
proporre in maniera misurata, ma ogni nota ha un peso specifico
enorme, i suoi patterns pianistici, spesso all’insegna di liquidi
abbozzi melodici, ma anche di quelle sue tipiche discese, tra il
dissonante e l’agonizzante, negli inferi. Un’opera nera come la più
nera delle notti, ma carica di visioni come il sonno di un
febbricitante.
Voto: 9
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