Scat ‘Il Muro Dopo Nagasaki’


(Autoprodotto/Triciclo 2009)

A distanza di quattro anni dall’ultima release “La Vita Regolata Dal Caso”, tornano a farsi sentire gli Scat, ensemble piemontese attiva da oltre un decennio nel sommerso dell’underground italico. Un progetto quello della band torinese che guarda al (post?) rock col piglio del jazz, strizzando tuttavia l’occhio a dimensioni psichedeliche e progressive. Un disco che rantola nell’oscurità senza però crogiolarvisi, prediligendo la forma strumentale ma senza accantonare del tutto la vocalità.

Apre il cd la sfuriata psych – rock Low Relativity, una sorta di introduzione poco impegnativa al mondo Scat che si evolverà nel corso della narrazione musicale. God’s Sand scopre invece le carte: una voce cupa e suadente accoglie l’ascolto, cullato da una melodia ipnotica e dimessa dalla quale fa capolino un sax discreto, non invadente ma che segna il passo. Ada Corre si mantiene in questi territori, lasciando spazio più ampio al sassofono, che disegna una linea sinuosa e ammaliante che nella seconda parte del brano si trasforma in rock acido corrosivo. Con la title track il sax diventa protagonista assoluto, deragliando in volteggi impetuosi e spericolati, passando il testimone nella seconda parte alla lirica tratta dal celebre lavoro di Pasolini “Scritti Corsari”, tingendo di politico il lavoro della band. Chiedi Alla Polvere torna a un post – rock più tradizionale, in una sorta di A Perfect Circle più dimessi. Incerto E’ Vero è una suite strumentale che scivola via senza grossi sussulti, che schiude le porte alla parte finale del disco. Il Profumo Della Sabbia si apre sottilissima e vibrante ma nella seconda parte il canto conferisce maggiore spessore (anche se le urla un po’ metal potevano essere risparmiate…). La Cavalcata Del Re mette la parola fine con un ribollio magmatico e sotterraneo che chiude il lavoro come si era aperto: nel segno del rock.

Un disco solido, che si guarda intorno in varie direzioni, pur senza spingersi troppo in là. Non convince appieno la voce, un po’ troppo piatta, e infatti i pezzi migliori sono senz’altro gli strumentali. Comunque un album di ottima fattura, il cui problema sta nella vasto affollamento, a livello di underground nazionale, di artisti attivi sul versante post – rock al quale si possono ascrivere i torinesi. Serve qualcosina in più per emergere, ma la strada intrapresa è senz’altro buona.

Voto: 7

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