(Dangerbird Records 2008)
Negli ultimi anni sono molti i talenti musicali sfornati dal Canada. Basti pensare a gente come gli Arcade Fire – giusto per citare uno dei nomi di punta di tale scena – che, con i loro album, hanno contribuito a far sì che la stampa di settore di concentrasse un tantino di più su quanto accade nelle fredde terre a nord degli USA. Anche i The Dears sono originari dell’area di Montreal e quanto a talento non sono da meno rispetto ai loro più accreditati colleghi.
La loro storia comincia nel 1995 per volontà di Murray Lightburn, leader indiscusso del gruppo. La band, che subirà numerosi cambi di formazione, ha sempre dichiarato di ispirarsi a Serge Gainsbourg. In realtà, il loro indie pop-rock che combina eleganti orchestrazioni con spunti elettronici sembra talvolta ammiccare – se non altro per lo spleen profusovi – ai Radiohead.
Ma attenzione: non si commetta l’errore di considerare Lightburn come un semplice emulo di Thom Yorke. Il songwriting del nostro è talmente articolato e gli arrangiamenti così ben studiati da non temere il confronto neppure con un mostro sacro come il musicista di Wellingborough.
A confermarne ulteriormente il talento (a dire il vero scarsamente tenuto in considerazione della stampa specializzata) ci pensa questo “Missiles”, terzo capitolo della saga discografica della band canadese. Le prime cinque tracce rappresentano una scala reale che da sola basta a giustificare l’acquisto dell’LP. Disclaimer parte con un arpeggio di chitarra elettrica sul quale s’innestano delle interferenze elettroniche ed un intervento di sax; nella seconda parte il pezzo cresce di intensità, grazie all’ingresso della batteria, di una seconda chitarra e del cantato. Dream Job è invece una splendida ballata orchestrale e precede Money Babies ed i suoi pesantissimi beat elettronici. Dopo la magnifica malinconia di Berlin Heart tocca a Lights Off. Il brano è uno degli highlights del disco: otto minuti che si aprono con Lightburn che intona i suoi versi supportato da una chitarra acustica, cui poi si assommano beat elettronici ed una sei corde elettrica. Una serie di deflagrazioni noise interrompe il regolare andamento della melodia; il cantato riprende sorretto da cori degni dei Beach Boys, ma su un tappeto sonoro decisamente più dilatato: l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una Paranoid Android in chiave pop (orchestrale). L’ (ottimo) assolo di chitarra che parte tutt’a un tratto fa pensare, invece, ai Pink Floyd del secondo periodo (quello di “Wish You Were Here”, tanto per intenderci).
Le successive Crisis 1 & 2 e Demons sono tutto sommato trascurabili. Decisamente meglio la title-track, cupa litania che fa pensare ai Radiohead di Exit Music (For A Film), così come del resto anche la magnifica Meltdown In A Major rimanda alla band di “Ok Computer” – ma in entrambi i casi, ci teniamo a precisarlo, senza alcun calligrafismo.
Sul finale c’è anche spazio per il sorprendente soul di Saviour, un ¾ in crescendo in cui la voce del leader è sorretta da un hammond e da frustate elettroniche cui sul finale si aggiungono suggestivi cori ed una tromba.
Insomma, un lavoro estremamente eterogeneo, fatto di canzoni scritte, arrangiate, suonate e prodotte assai bene, che pongono definitivamente i The Dears tra i migliori gruppi della scena indie attuale.
Voto: 8
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Autore: marcoloprete@yahoo.it