(Nagual/Nomadism/Masterpiece/Audioglobe 2009)
Tra citazione cinefile e una rabbia urlata dal profondo delle viscere i Devocka giungono al secondo disco, dimostrando di essere una delle migliori realtà dell’indie rock nostrano. Questo disco, infatti, che si avvale anche del mixaggio di Giulio Favero, si iscrive perfettamente nella scia del noise core a metà strada tra gli stessi One Dimensional Man, proprio quelli del secondo album, nel quale Favero ha suonato, ed i Neurosis.
La voce di Igor Tosi, quasi sempre tesa, quando non esprime tutto la rabbia che è stata a lungo repressa, si inserisce perfettamente tra la serrata macchina da guerra della base ritmica del batterista Mantovani e del bassista Bovini, e le fughe, vagamente contenute della sei corde di Guandalini.
Il quartetto ferrarese ha perfettamente oliato il marchingegno ed è pronto a devastare le orecchie dei suoi fan, grazie a vibrazioni e martellamenti tellurici, a grida disperate ed introspettive e ad un rimescolamento del blues con il noise estremo e tirato di Steve Von Till e soci.
I testi sono spesso lirici e comunque sempre profondi e con un’ottima predisposizione cantautorale, da sottolineare la citazione del “Fin qui tutto bene” tratta dal film “L’odio” di Matthieu Kassovitz di Corri.
Voto: 9
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