Mesmerico ‘Magnete’

(Octopus 2009)

Dopo un’intensa attività live che li vede in giro per l’Italia dal lontano 2001, i napoletani Mesmerico giungono all’album di debutto con un nome d’eccezione ad occuparsi della registrazione, ovvero quel Giulio Favero che ormai da anni dona un tocco granitico e solido alle migliori realtà della scena hard – rock italiche. Difficile catalogare la musica del duo campano: hardcore, math, avanguardia, metal convergono creando un tourbillon possente dal respiro pattoniano ma non solo.

La lieve ed eterea melodia che apre We Live In Paradise (Inhabited By Devils) non fa che sviare l’ascoltatore: pian piano chitarre gracidanti assecondano il coro ectoplasmatico richiamando vagamente le atmosfere dei Tv On The Radio, ma via via il sound si ispessisce tra suoni sintetici lancinanti e distorsioni furibonde; a metà traccia la metamorfosi si completa, deragliando verso un post – hardcore violento ai limiti del metal, come se l’angelo che aleggiava nei primi minuti avesse smesso la maschera e si fosse rivelato nella sua identità luciferina. Silos è una fucilata a velocità supersonica, disturbante e malata nel suo incedere sghembo e aggressivo. Rasoterra impazza con ferocia ma se ne va rapida senza incidere troppo. Superponte Verde è un’ipnosi math non troppo riuscita, meno esplosiva ma non certo dimessa. Palazzi segue su questa linea, che però alterna anche passaggi più complessi e strutturati. Dentro Al Vesuvio immerge nella lava metallica del monte che domina Napoli le pulsioni matematiche del duo, con tanto di coda noiseggiante. La lunga Lagher si adagia su graffi elettronici suggestivi che creano un’atmosfera ambientale elettrizzata e mortifera, per poi scogliersi nella seconda parte su una ritmica soffocata e liquefatta da messa nera prime del crescendo finale iperdistorto e a tutto volume. The King si apre a tutta velocità per poi scoprirsi attratta da rumori e distorsori che mettono a dura prova la resistenza del nostro timpano. La title track procede con passo affaticato e sofferente tra voglia di melodia e desideri di schizofrenia, un frullato inestricabile variegato e ubriaco tra cambi di ritmo e di umore violenti. La chiusura è affidata a The Sleeping Mountain (Is A Time Bomb), elegia funebre sintetica all’inizio intramezzata da passi al fulmicotone.

Il combo napoletano mette in mostra un sound corposo che guarda alle sperimentazioni e alle contaminazioni, ma il disco si dimostra riuscito solo in parte. A fronte i pezzi di valore assoluto (We Live In Paradise, Lagher e Magnete su tutti) ce ne sono altri che scorrono via senza lasciar traccia. Buon punto di partenza comunque per un band che, ricordiamolo, è all’esordio. Il tempo è dalla loro parte.

Voto: 6

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