Piano Magic ‘Ovations’


(Make Mine 2009)

Parlare dei Piano Magic oggi, a 13 anni e 10 dischi di distanza dal funambolico esordio “Popular Mechanics”, significa parlare di un gruppo che non smette di evolversi del tempo senza rinnegare radici ormai solide e radicate nell’oscurità. Messe da parte le tentazioni più pop-rock del più recente “Part-Monster”, “Ovations” si presenta come un disco nebuloso, vibrante come un morbo che aleggia nell’oscurità, poggiato su una solida base new wave (Cure e Interpol i riferimenti più immediati) cui intorno fluttuano ora singulti tribali (la presenza dei due ex Dead Can Dance Brendan Perry e Peter Ulrich ha sicuramente influito in questo senso, ben oltre l’ovvio contributo vocale di Perry in The Nightmare Goes On e You Never Loved This City), ora spinte elettroniche più violente (On Edge è emblematica in questo senso, con una ritmica martellante quasi industriale a rendere inquietante l’etereo canto di Glen Johnson, che si schiude in un esplosione finale abbagliante; un pezzo stupendo, forse uno dei migliori della storia del gruppo britannico; notevole anche l’ambient-industrial di Exit, che chiude il disco).

Il connubio tra ritmiche tribali, archi orientaleggianti e l’atmosfera dark-gotica generale da vita a un disco dal fascino sinistro di una litania eretica, quasi da messa nera in certi tratti (l’apologia dell’ateismo March Of The Atheists, l’inno messianico A Fond Farewell e La Cobardia De Los Toreros, singolare connubio di ritmi spagnoleggianti e atmosfere raggelate, su tutti), con un accostamento tra la freddezza dell’elettronica e il calore delle sinuose melodie quasi dervish che spiazza ma ipnotizza. Ma non si tratta di un sensazione legata alle tracce che più spingono su questo aspetto, è proprio un cifra stilistica che caratterizza l’album nel suo complesso, anche negli episodi più dark-wave (The Blue Hour, disperato canto d’amore popolato di ronzii sintetici).

Se devo proprio trovare il pelo nell’uovo, posso dire che ci sono tracce nelle quali l’appiattimento su modelli di revivalismo new wave è maggiore (Recovery Position, The Faint Horizon), ma si tratta comunque di pezzi tecnicamente ineccepibili, ammalianti e condotti magistralmente dalla poesia maledetta di Johnson, che si mostra una volta di più uno dei cantori più ispirati del nostro tempo. Le ovazioni non possono mancare per questo magnifico lavoro.

Voto: 9

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