(Unhip 2010)
Non conoscevo i piemontesi Drink To Me fino a pochi giorni fa, quando per la prima volta mi sono approcciato a questo loro secondo lavoro. Ma la garanzia data dall’essere approdati sotto l’egida di quella che è, secondo il modesto parere del sottoscritto, la massima autorità discografica dell’underground italico, ovvero la bolognese Unhip Records (Zen Circus, Massimo Volume, Offlaga Disco Pax, Giardini di Mirò, Blake/e/e/e, ecc…), dava di certo ottime credenziali alla band.
Che infatti non delude affatto e tiene testa a cotanti compagni di scuderia senza sfigurare. Psichedelia sintetica, funky, post-folk e divagazioni ambientali si frullano in questo lavoro tanto sbarazzino quanto stratificato e ricco di inventiva. Siamo all’incrocio tra le strade intraprese da Disco Drive e Les Fauves, ma non mancano riferimenti al folk naturalistico degli Animal Collective e ai giochi elettronici a 16 bit degli Atari.
Con Small Town entriamo nel disco tra synth sommersi e sibili sotterranei, ma siamo ancora ben ancorati nel rock, con sferzate shoegaze che sembrano riecheggiare i My Bloody Valentine in versione vacanza sulle spiagge brasiliane. B1 ci porta sul versante più psicotropo della musica dei nostri, quella più vicina all’esperienza dei Les Fauves, solare e frammentata. The End of History (America) rallenta il beat ed occhieggia alle ballate raggelate di Panda Bear e soci. Amazing Tunes distorce un groove funk che somiglia ai primi Liars spingendolo in spire sintetiche a bassa fedeltà. David‘s Hole continua sulla linea power inaugurata dalla traccia precedente, traghettandoci verso i lidi ronzanti ed apocalittici di A Stain In The City, triste cavalcata gelida per cuori che sanguinano al sintetizzatore. Con B9 si torna ad un mood più sbarazzino, con un chitarrismo più invasivo che ricorda vagamente la furia di Rapture e fratelli. Black Friday smette i panni più solari per farsi lontanamente orrorifica. In We’re Human Beings ritmiche tribali si fondono alla psicoelettronica in un unicum sorprendentemente accattivante. La chiusura è affidata a Paul And Kate, viaggio catartico martellante, che cresce, si gonfia ma invece di esplodere collassa in un groviglio di feedback e inestricabili linee sintetiche.
Ancora una volta gli amici della Unhip non sbagliano il colpo puntando su questa band postmoderna ma dal talento cristallino. The italian next big thing.
Voto: 8
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