(Erased Tapes 2010)
Il talento di Olafur Arnalds non lo si scopre certo oggi. Il giovane compositore islandese, benché non ancora venticinquenne, si è fatto notare negli ultimi 3 anni prima come support-act dei Sigur Ros nelle loro tournèe mondiali prima di diventare la punta di diamante della nuova ondata musicale proveniente dall’estremo nord-ovest d’Europa.
Il respiro neoclassico arioso di Jonsi e compagni, privato della sua componente pop, è ben evidente anche in questo secondo lavoro sulla lunga distanza del biondo cantautore proveniente dai sobborghi di Reykjavik, ideale descrizione in musica delle brulle ma verdeggianti lande islandesi. Il pianoforte di Olafur (che nasce come batterista in un formazione punk…) e gli archi pennellano un unico grande affresco che corre il rischio di diventare barocco ma che, compenetrato di impercettibili variazioni elettroniche, assimila le dilatazioni dello slo-core a-là Red House Painters per mescolarle a composizioni di Schumann o Chopin. D’altronde l’intento della sua musica Olafur l’ha chiarito più volte: portare la musica classica a chi non l’avrebbe mai ascoltata per aprire la mente delle persone.
I 43 minuti dell’album scorrono come un unicum nel quale l’unica vera discriminante è il susseguirsi di emozioni che affiorano e scompaiono insieme alle note dipinte da Arnalds. Ora sottile e dolente, a tratti solare e gioioso, il suo tocco sui tasti bianchi e neri è sempre delicato, sembra quasi di sentire timore nei suoi polpastrelli che accarezzano appena il piano. C’è una profonda malinconia in tutto il fluire della sua musica, che neanche le aperture più cinematiche (Tunglid, Haegt Kemur Ljosid), quelle vagamente jazzy (Gleypa Okkur, con le spazzole ad accarezzare le pelli della batteria) e la conclusione quasi circense dell’album (Dau Hafa Sloppid Undan Dunga Myrkursins) riescono a fugare.
Il pianista da Mosfellsbær e la sua musica post-classica devia dal percorso imboccato dai conterranei Sigur Ros ritraendosi dalla brezza confortante del pop per abbandonarsi alla musicalità glaciale del profondo Nord. Una bella tazza di caffè americano fumante, caminetto acceso con coperta sulle ginocchia, tanta neve fuori e questo “…And They Have Escaped The Weight Of Darkness”: la giornata invernale ideale. O la giornata islandese ideale.
Voto: 8
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