(42 Records 2011)
A due anni dal precedente “Floppy Disk”, il 26enne siciliano Carlo Barbagallo torna a farsi sentire con il suo progetto solista, viale maestro nel quale convogliare una debordante creatività che spesso deraglia in mille viuzze perpendicolari (come i progetti Albanopower e Suzanne Silver).
Creatività che anche stavolta viene filtrata e plasmata in molteplici maniere, rendendo quantomeno ardua una qualsivoglia classificazione. Se una vaga unitarietà era riscontrabile in “Floppy Disk”, dove il nostro poneva come punto di partenza una psichedelia elettronica dilatata in bassa fedeltà (tutto e niente, in pratica…), immergersi in “Quarter Century” vuol dire lasciarsi travolgere da un flusso musicale a volte gelido e turbinante, altre volte caldo ed avvolgente, altre ancora etereo e rabbrividente. Un fluido multicolore alla cui inafferrabilità contribuisce la ventina di collaboratori che aiutano Barbagallo nell’impresa di ultimare l’intruglio.
La porta d’ingresso nel Barbagallo-world è la traccia forse più accessibile del disco: A Place Called Home è pop che guarda al cosmo, ma è una pia illusione pensare che questa sia la forma definitiva del lavoro. Wake Me Up affoga i Blur in un languore cinematico, prima che Mediocre sprofondi in droni kraut-canterburiani. Reject (No Reaction Time) immerge gli Eels in un bagno di schiume horror-psichedeliche dalla quali si riemerge col rock lunare (!) di Holiday ed il valzer delle alte sfere Tx313. Un balletto che torna sulla Terra, precisamente sotto casa degli Akron Family, in Show. Simon Templar si avvinghia in sinuosità trip-hop che presto lasciano spazio al beat psicotico di Great Sun. Cloud Behind The Moon frigge Tom Waits in una messinscena rutilante, mentre Town Calls valica il confine canadese per finire dalle parti dei Broken Social Scene. Un decadentismo vagamente a-là Mark Lanegan percorre per intero White, allargandosi a macchia d’olio nella viaggio lisergico The Crowd. Il sottile balletto lynchiano Ercoidem chiude il disco e spegne i riflettori sul teatrino delle meraviglie imbastito da Carlo & friends.
Capolavoro di sincretismo musicale o accozzaglia di bozzetti che poco hanno a che fare l’uno con l’altro? Né l’uno né l’altro, o meglio sia l’uno che l’altro. Come album non si può che definire sconclusionato questo “Quarter Century”, ma presi uno per uno i singoli pezzi ci parlano di un artista nel pieno del suo fulgore creativo. Ma che forse deve trovare ancora la sua strada.
Voto: 8
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