(Pillowcase Records Division 2011)
Quante cose da dire su questa band! Innanzitutto ci tengo a scrivere che a differenza di molti artisti tutti ciarle e niente fatti questi ragazzi bolognesi hanno sposato la causa ecologica utilizzando materiali riciclati e non inquinanti. Sono così legati alla natura che un loro simbolo ricorrente è l’albero. La natura è presente anche sulla copertina, rami secchi che scompaiono, foglie che ancora sono in vita, un bosco oscuro. Tanto per farvi capire l’essenza (profonda) di questa band con le parole vi citerò una risposta data direttamente da loro alla domanda “Cosa evoca il vostro nome?” “Il nome JoyCut invita a consolidare nella memoria i segni dell’esistenza. Quali le tracce positive indelebili. Quindi non soltanto le cicatrici sofferte, ma anche i tagli di gioia”.
La band nasce nel 2001, da allora ne hanno fatta di strada e sono arrivati a traguardi notevoli facendo da spalla a gruppi (a cui hanno rubato qualche idea) come gli Editors e gli Arcade Fire. Mi ha colpito subito il cd per l’estetica. Sembra un vinile dark che in effetti suona molto new wave, dream pop. Liquido. ‘Ghost trees where to disappear’ ha dei toni pieni di luci e ombre e al tempo stesso morbidi e sensuali soprattutto grazie ad effetti sulla voce del cantante tipicamente darkwave anni 80 (che ricorda un po’ quella di Ian Curtis dei Joy Division). Il cd si apre con 10 pence una traccia strumentale, le melodie ti rapiscono come in Clean Planet che sembra appena uscita da un album dei migliori Jesus and Mary Chain, ti cullano come in Deus che ha una piccola parte cantata alla fine, rabbiosa e a più voci, ti scuotono la mente quando diventano più veloci e potenti come in Apple la traccia più riuscita insieme a W4U una perfetta chiusura malinconica e romantica (di cui è stato anche realizzato un video). Forse l’unica pecca di quest’album è che nell’insieme può risultare un po’ pesante (c’è davvero molto da ascoltare), ogni canzone presa singolarmente è bellissima e intensa ma tutto insieme è troppo. Faccio comunque un applauso al produttore Jason Howes (tra le varie collaborazioni ricordo Arctic Monkeys, Lily Allen, Bloc Party) che ha dato decisamente un suono internazionale a questa band che aveva già rielaborato molto certa new wave anglosassone tirando fuori qualcosa di mai sentito (o dimenticato) qui in Italia. Bravissimi.
Voto: 10
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Autore: rakyrock@hotmail.it