(Innova 2011)
Dire che la musica di Philip Schroeder è minimalista non basta a connotarla, data la diversità di autori a cui l’etichetta in questione è stata applicata. Altrettanto insufficiente è definirla ambient, altra categoria ormai piuttosto inflazionata. E tuttavia, unendo i due termini riusciamo a dare una prima, significativa inquadratura della poetica dell’Autore; inquadratura che può ulteriormente essere ristretta e messa a fuoco citando quelli che sono a mio avviso i due principali compositori di riferimento del Nostro. Si tratta nella fattispecie di Charlemagne Palestine e di David Lang. Del primo, Schroeder riprende la tecnica della vibrazione continua ottenuta percuotendo i tasti del pianoforte, creando così un tappeto di ipnotici drones lievemente cangianti. Al secondo, Schroeder si ispira per l’elaborazione di morbide e prolungate linee melodiche, affidate per lo più al clarinetto; nonché per la dilatazione temporale dello sfondo su cui tali melodie si svolgono. Questi tratti, messi insieme, fanno sì che l’ascolto della sua musica sia un’esperienza intimamente toccante e metafisicamente sospesa: come nella migliore – colta, ispirata, sognante – minimal-ambient music.
Voto: 6
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