(Future Noise/Self 2012)
Mark Stewart l’innovatore, il genio, il rivoluzionario. In queste tre definizioni è racchiuso anche il senso di questo suo ultimo lavoro. L’ex leader del Pop Group è come tutti i veri artisti, che proprio nelle fasi di crisi sociale, producono le loro cose migliori. “The polis of envy” è sicuramente uno dei dischi più belli incisi da Stewart.
Aiutato da molti amici e artisti del rock inglese Stewart ha riempito questo disco di tantissimi elementi, soprattutto elettronici, rendendo i brani sempre spezzettati, mai coerenti, se non nei messaggi socio-politici.
Il lavoro parte con Vanity kills (con Richard Hell al theremin), un pop elettronico straniante ed aggressivo, nel quale sono presenti anche elementi di new wave. La successiva Autonomia, dedicata a Carlo Giuliani e con Bobby Gillespie ha una ritmica noise circolare e frizzante, seppure alla lunga risulta ipnotica, a seguire il dub di Gang war, con Lee Scratch Perry, un bellissimo omaggio all’Intifada palestinese.
Codex, introdotta da un synth-ambient è intrisa di elettronica incostante e futuribile, mentre Want è molto più aggressiva ed è un hip hop denso di noises elettronici. La techno domina nella pompata Gustav says, come anche in Baby bourgeois, anche se è più saltellante ed eclettica. La convulsa Method to the madness ci porta agli orrendi anni ’80 sintetici ed effimeri, ma per fortuna la qualità viene recuperata con la rarefatta e tesa Apocalypse hotel con Daddy G dei Massive Attack.
Nel finale c’è spazio per una cover di David Bowie, una Letter to Herminone, rarefatta e stentata, e per il claustrofobico post punk di Stereotype con ospite Keith Levene (chitarra di P.I.L e Clash).
Un disco straniante, con il quale Mark Stewart si è divertito a mischiare tanto e creare più confusione. D’altronde in questa fase storica ce n’è poca!!!
Voto: 8
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