(Trasponsonic 2013)
Non si sale, non è questa l’impressione.
Piuttosto, ci
si dedica all’esplorazione di un crepaccio vertiginoso.
Una
fessura cupa, che si offre profonda fra le montagne, le cime,
spruzzate di luce.
Non un filo d’aria in basso, ombra e caldo
insopportabile, mentre le zanzare banchettano sul collo.
Fra le
stretti pareti che le spalle sfiorano, uomini/bestia e donne
festanti, falli in erezione, enormi e ridicoli, stinti dal
tempo.
M.S. Miroslaw (HBOL, Maqom e gran
cerimoniere di casa Trasponsonic), non transita placido, dalle
parti di un esordio conciliante.
“Rebirth Invocations”,
entra di spalla, fra petto e mento.
Son i clangori dei Mamuthones
rischiati dai falò, immersi nel silenzio di una folla
riverente, è vino e sudore, desiderio e carne.
Sacra musica
sarda.
Uomini e bestie nelle grotte, a condivider gli spazi del
sogno.
Sempre giorni difficili (ieri come oggi).
Di festa,
quelli dell’uccisione del maiale, il paese percorso d’unico
orgasmo.
È struttura non aerodinamica, impegnata nella fase
del volo, che si adatta e modella nel buio, divorata
dall’attrito.
Ripetizioni devozionali punenti e carne cotta dal
sole.
Per caso e tenacia, ancora integra.
Simon Balestrazzi contribuisce.
Di dubbi sfrigolanti e diluizioni terminali.
Con
la certezza nitida, che il fiato potrebbe non bastare, nel frattempo,
brucia strada.
Fuori, è un nulla sconsolante.
Voto: 8
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