Erika Dagnino Quartet ‘Signs’

(Slam 2013)

Una lucida e determinata urgenza, quella che anima “Signs”.
Opera
che bissa ed espande, quanto di buono espresso dall’italiana Erika
Dagnino
, nel precedente (ottimo), “Narcéte”.
Dove
il talento poetico dell’autrice, in quel di Brooklyn nel Novembre
2012, s’organizza e aziona, per una bollente performance in formula a
quattro.
Con voce bella, forte e chiara (come l’ha definita Peter
Brötzmann
), che in questa occasione pare si carichi di
oscurità compressa.
Un impatto testuale asciutto e
intransigente, che si sviluppa in riuscita modalità bilingue
(italiano/inglese), mentre Ras Moshe, Ken Filiano e
John Pietaro, sminuzzano febbri afroamericane e ruggini
avant.
Immagini astratte, d’una natura aspra e squassata dal
vento, dove il fattore tempo, è fonte d’angoscia sol per noi,
di pelle e ossa.
Di spigoli nei fianchi, a ricordarne odori e
colori, mentre la si osserva e ricorda, stretti fra pareti di
cemento.
Fiati, corde, legni e metalli, in urlante comunione
impro.
Di grumi, di grigi, di rosso e di pietra.
Attrito e
calore.

Voto: 8

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