(Splasc(H) Records 2013)
Di grazia e contatto, “Danza Pagana”.
Fascinosa
performance-concerto (33 Open Jazz Festival d’Ivrea), che illumina e
scalda, occhi e cuore.
Un percorso espressivo soffuso e
coinvolgente, intriso di reattiva malinconia.
Massimo Barbiero
(batteria e percussioni), Claudio Cojaniz (piano) e Giulia
Ceolin (movimento), bilancian, d’impeto e scioltezza, frammenti
di memoria ed ipotesi future non caotiche, senza mai per un’istante
uno, strappar la trama narrativa.
Improvvisazione e composizione
(sei del batterista di Ivrea, due composizioni istantanee del
pianista friulano e due riletture).
Dove il percuoter di pelli,
legni e metalli, è un canto non omologato, spezzato, deciso e
chiaroscurale (la strepitosa apertura in solitudine di Febe,
il resto del mondo che osserva i movimenti scomposti
dell’Occidente).
Mentre il piano rilancia, intrecciando toccanti
melodie (Improvisation 1), spunti classicheggianti (la Heilig,
Heilig, Heilig, tratta dalla “Deutsche Messe” di
Schubert), l’Africa, il jazz ed il blues (la febbre di
Crepuscule With Nellie di Monk, l’altrettanto intensa
Denique Caelum).
La spettinata, introversa fierezza di
Nausicaa, perfetta (sarebbe stata), fra le mani di Alice
Coltrane.
I silenzi e le etnie lontane del battere di Oceano,
il suo aprirsi alla vertigine (piena, intensa e luminosa), di
Improvisation 3.
La bellezza, riconciliarsi con essa.
Voto: 8
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