(Trasponsonic 2014)
Se possiedi ali, voli.
Ma non potrai sottrarti allo sforzo che precede l’atto.
Se
non possiedi ali, cadrai.
L’importante, è contemplar ed
esporsi al vuoto, questo il punto.
Il laboratorio isolano/isolato
di Andrej Porcu torna ad emetter segnali.
Rovistando tra
cianfrusaglie metallico/organiche, qualche richiamo ornitologico,
inceppi di nastri e cd, invocazioni di cordame rugginoso e
allucinatorie calibrature di delay.
In casa e in solitudine, altro
non serve.
L’urto dei suoni di un paese in festa pagana, clangore
di metalli, processioni e genuflessioni devozionali, uguali ad ogni
latitudine non globalizzata.
Le bocche mute e gli occhi accesi
degli astanti.
Fumo di narghilè e l’odore spesso della
legna che combusta nel camino sbrecciato, contrapposti e
identici.
Alzare le braccia verso l’alto, lasciarle cadere in
basso, in rapida successione, per ore, per giorni (Samebes Patu
Nepet).
Gli Zoviet France e l’urlo continuo del mare
che sbatte, mentre il vento flagella carne (Groput Vibe
Kralet).
Atterriti e concentrati.
Agguerriti e in
attesa.
Dammi della chimica, questa discarica deve bruciare.
Muffe
e tralicci in disuso.
Un sibilo, un rantolo e poi nulla.
Affanculo
il buio.
La vita brulica oltre i resti.
Di me e di te.
Voto: 8
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