(Public Eyesore 2015)
Ventiquattro porzioni di musiche da un altro mondo.
Una valanga
strumentale (al solito) che Alan Sondheim gestisce,
spalleggiato (in parte) da Luke Damrosch mentre Azure
Carter, c’inzuffa voce e testi ingentilendo (a tratti) il
tutto.
Incrocio di culture, di sovrapposizione di stralci solisti
(i clarinetti di Altoclar), di deserti immaginari né Oriente
né Occidente (Qin), di delizie folk strapazzate/invitanti (il
canto di Carter nell’iniziale Comeforme), di vuoti polverosi e
azioni istantanee per strumenti in solitaria (Guitar 1,
Banjo), dove quel che accade non s’affloscia nel
consueto.
Damrosch ci sminuzza via software qualche ulteriore
detrito (Harmonrevrev, Threnrevrev), ma non si pensi a
del noise per carità.
Più che altro, il riverbero di
svariate illuminazioni, notevolmente espanso.
Musica di difficile
(impossibile) collocazione (temporale e geografica) d’appartenenza.
A
tratti abbagliante nei suoi toni, a tratti eco distante (e basta) di
ricomposizioni ragionevolmente improbabili.
Nulla è quel
che sembra, la conclusiva stratificazione di Alltracks lo
ricorda.
L’avvicinamento è consigliato.
Voto: 7
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