(Glitterbeat 2019)
Scuote, invoca, se ne sbatte delle consuetudini e ti strappa dalle scarpe.
A volume alto, il più possibile, l’elettricità dell’occidente che si disperde, annienta e rigenera nel percuotere terapeutico/rituale del Banga sahariano (in tunisino, Banga, significa volume enorme).
Materia che di un palco se ne inpippa, fra pubblico e artista non esiste separazione, tutti insieme, travolgendo i sensi.
L’esperto ribelle Cambuzat e Gianna Greco, lo han provato sulla propria pelle in loco, scioccando e scioccandosi nell’incontro tutto spigoli, canti e balli di un’esperienza unica.
Musica vitale, rabbiosa, fuori dalle coordinate leccatine a cui siam abituati.
Ad accompagnar senza sosta i due nella loro immersione/diluizione totale, tre membri della comunità Banga a voci e percussioni (Yahya Chouchen, Tarek Soltan e il nuovo entrato in formazione Fatma Chebbi).
Questo è un rito scontroso o uno scontro rituale, fate voi.
Che rispetto al principio di “Rûwâhîne” del 2017, è più slegato da ricordi post-punk/noise da Berlino al tramonto.
In “Laylet El Booree” (la notte della follia), la tempesta è bruta, danzante e incessante, oltre il concetto di piacevolezza, lontano da canoni consolidati.
Il riferimento è al raduno annuale del Banga di Tozeur nel Sahara tunisino, la notte in cui gli spiriti prendono possesso dei corpi.
Elevazione, corpi agitati nella danza frenetica, urti, cadute, di nuovo in piedi, urti, frenesia, cadute, di nuovo in piedi, senza sosta.
Sangue, polvere e sudore o come cazzo vi pare nell’ordine.
Procuratevelo necessariamente.
Voto: 8
Marco Carcasi