(Cat Werk Imprint 2020)
Una delle tante innovazioni che la seconda metà del Novecento ha portato nel mondo musicale riguarda senz’altro l’uso della voce. A partire da alcune opere di Stockhausen per arrivare ai primi lavori di Steve Reich degli anni Sessanta, la voce umana è stata considerata non più solo come uno strumento, ma come un materiale concreto – soprattutto se fissato in registrazioni audio – a partire dal quale elaborare determinati processi compositivi, che includono anche il replicarne il profilo melodico e l’incedere ritmico (operazione che è stata compiuta magistralmente in Different Trains – celebrata composizione dello stesso Reich degli anni Ottanta – e in vari lavori di Scott Johnson). Riallacciandosi alla poetica messa in atto dagli autori citati e ripresa poi da autrici come Laurie Anderson e Pamela Z, la compositrice inglese (ma di origine francese) Olivia Louvel prosegue, in questa sua nuova opera, la propria personale ricerca e sperimentazione con voci cantate e preregistrate. Al centro del presente progetto vi è la voce della scultrice Barbara Hepworth, registrata nel 1961, intenta a descrivere il proprio processo creativo. Il risultato è una suite in nove parti, ciascuna delle quali è incentrata su un particolare aspetto del racconto della Hepworth. Isolando alcuni frammenti del testo (la cui lettura passa poi in consegna alla Louvel stessa), la musicista francese intende portarne alla luce la speciale pregnanza, sottoponendoli a varie manipolazioni, loops, sfasamenti ritmici, con l’aiuto consistente e incisivo dell’elettronica. Si crea così un gioco di rimandi quanto mai fertile, e in molti frangenti anche piuttosto avvincente e musicalmente godibile – per quanto frutto di un lavoro compositivo certosino, quasi geometrico – tra le due arti, come ben esemplificato dal passaggio in cui si ascolta: “the sound of a mallet or hammer is music to my hear, when either is used rhytmically, and I can tell by sound alone what is going on”.
Voto: 8
Filippo Focosi