(Naxos/Ducale 2019)
La musica di Nikolai Kapustin, compositore ucraino classe 1937, è una sorpresa continua. Non tanto dal punto di vista delle scelte stilistiche dell’Autore. La cifra poetica di Kapustin è abbastanza chiara, e ormai piuttosto nota – data la viepiù crescente quantità di esecuzioni e incisioni delle sue opere -: si tratta di una sapiente miscela di scrittura classica e materiali jazzistici, con la non trascurabile particolarità che questi ultimi non sono, per così dire, colati nelle forme classiche di volta in volta utilizzate (dal preludio alla fuga, dalla forma sonata alla polifonia), ma sono fusi con esse con un’organicità che la si può riscontrare (da sponde diverse) solo in alcune opere di autori come Chick Corea e Paul Schoenfield. La sorpresa va invece cercata nella irrefrenabile mobilità ritmica, nella impossibilità di prevedere quale direzione le linee melodiche – ancorché ancorate a un contesto armonico relativamente stabile, influenzato tanto dal jazz quanto dall’Impressionismo francese – di volta in volta prenderanno, guidate come sono da un’indefessa sincopazione e da uno studiato andamento improvvisativo. Queste pagine sprigionano una contagiosa joie de vivre, di cui si fa cantore il flauto, in dialogo – contrappuntisticamente serrato, ma sempre estremamente fluido e gioviale – col pianoforte, col violoncello (che, specie nel Trio Op.86, dà corpo alla naturale levità del flauto) e, nel Divertissement, anche da un altro flauto. Il flautista Immanuel Davis si rivela interprete ideale di queste partiture così idiomatiche per il suo strumento; ma altrettanto bravi, come lo stesso Kapustin riconosce con gratitudine, sono gli altri musicisti coinvolti in questa registrazione, che si candida già ad essere annoverata tra le produzioni discografiche più interessanti del 2019.
Voto: 9
Filippo Focosi