(Kythibong Records 2018)
Una cosa che sorprende di questo disco è che in realtà uscì nel (lontano) 1977. Pare ieri, musicalmente parlando. Questo sta a significare non tanto la capacità di visione musicale degli autori, quanto l’accorciamento del gusto e della ricerca dalla fine degli anni ’70 a oggi. Persino nelle correnti musicali più recenti, persino in quelle più mainstream e meno di ricerca, persino negli esiti più soavi e in quelli più triviali, la musica di oggi appare come un pot-pourri di cose che erano già state sperimentate prima, molto prima, in modo più netto e meno contaminato.
Il lavoro di Fontaine e Belkacem appare quindi di una genuinità e di una innocenza che oggi, probabilmente, appare out of date. Siamo figli di questa musica, e un po’ ce ne vergogniamo così come ci vergogniamo quando i nostri genitori seguono la loro moda, meno costruita e più spontanea, imperfetta, della nostra. Una moda, una musica, fatte di divisioni forti: noi e voi, noi contro voi.
Patriarcat è un capolavoro: di divisioni, di valori manifesti, di spirito, di modernità. Poi la fusione tra la forma canzone e la sonorità nord sahariana (e Sapin a noi potrebbero ricordarci certa ricerca di Battiato); la composizione esile (Personne, L’orage est fini) fatta solo quasi di voce, armonizzata come un canto gregoriano; una presa diretta di musica, stream of consciousness e rumore (Vous et Nous)…tutto risuona nella nostra mente, e ci fa riscoprire un suono che dimorava già in noi, oggi, e ci mancava.
Voto: 9
Gianni Zen