(Hallow Ground 2018)
Sono luoghi della memoria, di una certa memoria, fatta di spazi, distanze e costruzioni (e ciò che ne rimane), che innesta una certa ansia di avvicinamento in primis, e impatta se non trattata, come un lugubre sudario che lento ci avvolge spalle e tutto il resto. Luoghi che c’influenzano, il fuori, che agisce in maniera indelebile sul dentro.
Viene da Tehran Siavash Amini, e “Foras” (dal latino, fuori), è insieme di field recordings digitalmente trattati, che giacca e scarpe ti trascinano fra silenzi crepitanti, rombi sinistri e ampie distese a perdita d’occhio di nulla polveroso, macerie e pozze di resilienza.
L’applicativo è una capsula torva di contemporanea deriva (quasi) noise, sgranature e strappi inclusi, che lo sperimentatore sonico iraniano, declina in un panorama brulicante di sinfonici sussurri, che molto hanno a che fare, con la faccenda compassione.
Ti sbatte e prostra a terra per un tot, poi ti offre la mano per rialzarti.
Il cielo, prima o poi schiarirà.
Voto: 7
Marco Carcasi