La ANTS Records è una label presente da tempo nei lidi digitali di Kathodik, con produzioni raffinate in cd di musica sperimentale, che destano in redazione sempre curiosità e interesse. Ad un certo punto ho pensato che era giunto il momento di saperne di più sulla sua storia e filosofia. Ci è voluto poco, una manciata di domande e la disponibilità dell’ideatore e curatore Gianni Antognozzi a risponderle. Solitamente non mi sbilancio nel dare giudizi, ma vi consiglio vivamente di leggere questa intervista. Sono sicuro che vi piacerà come è piaciuta a me.
Gianni, come è nata l’idea di fondare la ANTS Records?
L’idea alla base della nascita di ANTS è la stessa che ha mosso ogni mia iniziativa nel settore della diffusione della musica sperimentale e di avanguardia. E’ stato il passaggio, quasi obbligato, avvenuto dopo le avventure di SILENZIO Distribuzione e SILENZIO Associazione, che si erano sviluppate fra il 1993 ed il 2007.
ANTS nasce nel 2001, visto che, nonostante avessi lavorato per anni nel proporre “musiche nuove”, mi rendevo conto che c’erano ancora molti artisti la cui carriera e le cui opere erano largamente sotto-documentate.
Dal punto di vista dell’indirizzo estetico, un’ottima definizione di ANTS sta nelle parole a suo tempo pronunciate da John White, emerito maestro della scena sperimentale inglese fin dagli anni 70: “Il fine di ANTS è la ricerca dello straordinario (in musica). Nel senso letterale di “non-ordinario”.
Quali sono le ragioni in base alle quali hai deciso di concentrarti sulla musica sperimentale, contemporanea? In questi anni hai pensato a produrre cd di altri generi musicali?
Non c’è mai stata una ragione specifica, se non la passione per i suoni e le musiche di ricerca che ho sviluppato in più di quarant’anni di ascolti e di frequentazioni.
Detto in maniera banale, trovo che gli artisti di cui mi interesso e che produco, siano, in senso lato, degli esploratori, persone alla ricerca di una voce e di un suono nuovi. In quest’ottica “di ricerca” vanno quindi valutate le opere di artisti molto differenti come Albert Mayr o Gianfranco Pernaiachi, Tom Johnson o John White, Werner Durand o John Krausbauer, Philip Corner o Jamie Crofts, fra i tanti. I risultati sonori che scaturiscono da queste ricerche sono anche molto diversi fra loro, ma questo fa parte della bellezza di quella che chiamiamo musica (intesa, nel mio caso, in un senso estremamente ampio della parola). Quindi direi che le scelte produttive non sono “di genere”, ma piuttosto di attitudine.
D’altronde nel nome dell’etichetta, dove l’acronimo ANTS sta per A New Timeless Sound (Un Nuovo Suono Senza Tempo), si trova un pò quel paradosso che stimola ed indirizza le scelte.
Le produzioni della ANTS Records sono esclusivamente, almeno a mia conoscenza, in formato cd. Del vinile che ne pensi? La consideri una opzione da sondare?
In linea teorica trovo che qualunque mezzo che permetta di “ascoltare musica e suoni” debba essere contemplato e considerato per le sue peculiarità. Quindi vanno bene i dischi in vinile, le audiocassette, i compact disc, la musica liquida e chi più ne ha più ne metta. Sul piano produttivo invece, essendo nato e cresciuto nell’era del disco in vinile e delle cassette, ma avendo vissuto l’arrivo del CD e della musica digitale, considero il CD il mezzo ideale. Si tratta del supporto che coniuga al meglio quelli che sono i miei desiderata: è semplice da utilizzare in quanto “portatile”, tanto quanto le vecchie cassette, ma di qualità sonora migliore e di minor deperibilità e rispetto alle cassette ha una capienza simile, ma questa diventa almeno doppia rispetto al vecchio “caro” Long Playing. Devo dire che ho sempre trovato irritante dover alzarmi e girare il disco ogni 15/20 minuti, spesso interrompendo l’ascolto di brani che superavano i confini di una facciata, e quando arrivò il CD ne fui entusiasta (e lo sono tutt’ora). L’unica cosa che non mi ha mai catturato fino in fondo è stato l’aspetto fisico del CD originale (confezioni plasticose, grafiche ridotte, ma più che altro spartane – ma qui potrei citare anche molti vinili anni 70 e 80 che definire brutti è dir poco); per questo cerco, sempre di più negli ultimi anni, di proporre confezioni più accattivanti e visivamente gradevoli, aggiungendo (quando il progetto lo richiede/permette) apparati grafico/testuali che arricchiscano l’esperienza dell’ascolto.
Cosa ne pensi delle coproduzioni tra label discografiche?
Penso che sia una cosa molto difficile da mettere in pratica. Specie per me, che sono sempre stato un indipendente. Indipendente anche da altre realtà indipendenti.
Raccontami della Silenzio: come è nata l’idea della distribuzione? E l’idea dell’associazione? Perché hai concluso questa esperienza?
SILENZIO Distribuzione nacque da un’esigenza che ho sempre avuto, da molto prima del 1993, anno in cui prese vita. Vale la pena ricordare (ovviamente per i lettori più giovani) che una volta l’esperienza dell’ascolto musicale era molto diversa e che se si voleva anche solo provare ad ascoltare qualcosa, i dischi bisognava comprarseli. Ma anche questo era molto difficile, specie per quelle musiche “altre” che, dalla fine degli anni 70 in poi, avevano catturato sempre di più la mia attenzione di giovane musicofilo. Quindi cominciai a fare l’unica cosa che si poteva fare: ordinare i dischi all’estero utilizzando i canali disponibili all’epoca, i cataloghi “mailorder”. All’epoca, i primissimi anni 80, ce n’erano alcuni sparsi per il mondo, e fra di essi i più interessanti e forniti (per gli ambiti di mio interesse) erano Gelbe Musik a Berlino e il New Music Distribution Service di New York. Però, oltre a ordinare da loro, attraverso quei mitici cataloghi che arrivavano via posta, iniziai a scrivere alle etichette che non avevano distribuzione in Italia e anche direttamente agli stessi artisti. Fu così che iniziai ad ampliare gli ordini includendo copie per gli amici più interessati che come me cercavano titoli altrimenti introvabili. Da lì il passo seguente fu quasi naturale, con alcuni artisti sparsi per il mondo che sostennero fattivamente la mia idea, che ovviamente ricalcava le orme di Gelbe Musik, NMDS, Frog Peak Music, Deep Listening Publications e degli altri mail-order di allora. Gente come Joseph Celli, John Bischoff, Paul Panhuysen, Pauline Oliveros si fidarono della mia voglia e mi aiutarono inviando interi cataloghi di dischi mai visti qui da noi. E oltre ai dischi (CD, vinili e cassette), iniziai, già dal primo catalogo di SILENZIO del 1994, ad importare anche libri, riviste e partiture, per cercare di proporre una visione più ampia di quel mondo che mi appassionava tanto: la musica sperimentale e di avanguardia.
Da lì in poi SILENZIO Distribuzione (nel cui percorso sono sempre stato assistito da mia moglie Sabina) ha continuato ad operare a stretto contatto con artisti ed etichette alternative, disegnando una parabola molto chiara, con il picco di attività e diffusione raggiunto a cavallo della fine del secolo a cui ha fatto seguito una lenta riduzione della mole di lavoro fino alla chiusura definitiva nel 2007. La chiusura fu una cosa anch’essa naturale, perché l’avvento di Internet stava modificando l’intero processo produttivo e distributivo. Nacquero i siti delle etichette che iniziarono a gestire l’e-commerce diretto, si moltiplicarono a dismisura i siti di informazione ed i blog, cominciarono a spuntare tante micro auto-produzioni, nacquero i primi gestori di musica digitale e download a pagamento. A quel punto i margini per consentirci di proseguire si esaurirono e come noi chiusero tanti altri mail-order (anche di altri settori musicali), per non parlare dei negozi di dischi veri e propri.
L’associazione culturale SILENZIO nacque come progetto per promuovere ulteriormente la diffusione delle musiche che ci interessavano, attraverso l’organizzazione di manifestazioni, incontri, concerti. Con me c’era il compianto Paolo Coteni, figura ben nota nel panorama romano, e con lui producemmo un Festival sulle Installazioni Sonore (con artisti come Christina Kubisch, Paul Panhuysen, Hugh Davies, Roberto Laneri ecc.), diverse serie di concerti, fra cui, nel 1996, quello per la reunion per i 30 anni di MEV a Roma (con Alvin Curran, Richard Teitelbaum, Steve Lacy, Garrett List ed un nutrito gruppo di musicisti italiani) o il festival “4 Pianoforti” al Palazzo delle Esposizioni, con Philip Glass, Terry Riley, Charlemagne Palestine e Michael Harrison. Con l’associazione facemmo uscire anche una rivista chiamata ‘OLTRE IL SILENZIO’ e producemmo l’unico disco uscito in vita di Giuseppe Chiari, il maestro Fluxus. Io poi lasciai l’associazione nel 2000, dedicandomi alla Distribuzione fino alla chiusura. Ma l’anno dopo, come già detto, iniziò l’avventura di ANTS.
Parlami di Proposte Sonore, l’associazione fondata nel 2013. Come è nata l’idea? Quali obiettivi ti proponevi e ti proponi di realizzare?
Per non rischiare di ripetere concetti che espongo in altre risposte ti dirò una delle ragioni più importanti per cui ho messo sù (con altre persone) l’Associazione PROPOSTE SONORE: fare il possibile per condividere esperienze artistiche con persone che apprezzo e stimo, e renderne partecipi altre persone. In primis con molti degli artisti ANTS. Con alcuni di loro posso dire di essere amico, da svariati anni. Spesso ci si sente e ci si vede anche nella quotidianità. Le tre edizioni di “VISITAZIONI – festival di arte sonora” che abbiamo prodotto hanno visto la presenza di alcuni artisti che reputo importantissimi, ma che, in molti casi, sono anche amici.
Che ne pensi dei social per promuovere la conoscenza e l’ascolto della musica sperimentale? Ne fruisci per la ANTS Records?
Personalmente non sono un gran fruitore dei social. Sono atterrato su Facebook molto tardi e ho anche un minimo di ritegno, direi quasi timidezza, ad usarlo in maniera troppo invasiva. Probabilmente è colpa dell’età. Diciamo che faccio il minimo funzionale.
E’ ovvio che la possibilità di ascolto (della musica sperimentale, ma chiaramente anche di tutte le altre musiche) è cresciuta oggigiorno in maniera esponenziale e, oserei direi, paradossale. E anch’io mi ritrovo qualche volta ad assistere ad un piccolo concerto in streaming, piuttosto che ad ascoltare in anteprima un disco su Bandcamp. Quindi a livello di quantità siamo messi clamorosamente meglio di come eravamo solo alcuni anni fa.
Dal punto di vista della qualità dell’ascolto (e soprattutto della qualità nella scelta dell’ascolto) direi che sono invece sufficientemente disorientato dalla massa di quelle che chiamo “notizie sonore”, che arrivano quotidianamente, e che per me restano purtroppo contrapposte alle “proposte sonore” che amerei ritrovare (e che alle volte, fortunatamente, ritrovo).
Come vedi il futuro della musica sperimentale?
Se partiamo dalla definizione di musica sperimentale data da Cage, allora direi che il futuro è molto simile al passato. In questo caso la definizione attiene all’opera del singolo artista e ai suoi tentativi di ottenere qualcosa oltre i limiti della prevedibilità. Quindi poco importante risulta il “mezzo” che si utilizza, e molto rilevante diviene il “metodo”. Oggi si può fare musica in modi innumerevolmente vari e diversi dal passato, attraverso la tecnologia ad esempio, ma i risultati possono ancora essere imprevedibili. Così come lo furono in passato.
Se invece ci appoggiamo alla definizione più “storiografica”, ad esempio di un Nyman, dove si cerca di identificare un campo di azione che rappresenti il tentativo di superare gli schemi compositivi “tradizionali”, direi che il passare degli anni ha progressivamente reso meno efficace tale definizione. Oggi più che altro si tende a definire l’ambito sperimentale come un contenitore di tutto ciò che, attraverso metodi non convenzionali, si contrappone alla cosiddetta Accademia. In questo senso non si può parlare di presente o futuro. Semplicemente ascolteremo musiche più o meno interessanti ed emozionanti.
Quali progetti ha in cantiere la ANTS Records per i prossimi anni?
Te ne posso citare alcuni che vedranno la luce in un futuro ancora non ben definito (ci vorranno alcuni anni per produrre tutto): un nuovo triplo CD di Manuel Zurria, che percorre alcune pagine musicali superlative divise fra compositori storici e nuovi nomi rilevantissimi; un lavoro di archivio molto importante di Steve Peters con svariate ore di installazioni sonore; un’opera di grande radicalità artistica di Gianfranco Pernaiachi; un disco sorprendente e particolare di Andrea Rocca; la terza monolitica uscita di John Krausbauer; un nuovo capitolo della ricerca fra gli incredibili archivi di John White; il primo disco solo di Alex Mendizabal e forse un album di Jim Fox, che è un pò una scommessa fra me e lui, e che è in programma….. dal 2001.
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