(Snowdonia Dischi in collaborazione con il MEI 2023)
Coloro che hanno avuto la ventura di vederlo vincere il premio della critica tra le “nuove proposte” al Festival di Sanremo del 1984 con il brano La fenice ‒ presenza aliena scritta con Riccardo Cocciante, mix estremo tra un certo “belcanto” e echi “wave” condito con una presenza scenica enigmatica e di grande impatto ‒ sono rimasti quantomeno spiazzati da Rodolfo Santandrea (ma già Marta a Castrocaro 1982 era stata una rivelazione). Artista a molti tondi, autore di quattro album sicuramente originali, assomiglianti a nessun altro, da “Santandrea” dello stesso anno a “Ricordi e sogni del mio vescovo” (1986), da “Aiutatemi, amo i delfini” del 1988 a “Anni” del 1995, nonchè co-arrangiatore di “È piazza del campo” di Mario Castelnuovo (1985), Santandrea fin dalla fine dei Settanta è stato radicalmente acommerciale e rigoroso, libero e avventuroso. L’allontanamento dall’industria discografica per “fare altro” è stata la naturale conclusione di un percorso esistenziale di un certo tipo. Questa raccolta, elaborata con cura e passione da Cinzia La Fauci e Alberto Scotti della Snowdonia in collaborazione col MEI – Meeting delle etichette indipedenti, vede coinvolti appunto autori che, al di là dei generi coinvolti, amano scoprire strade per nulla battute, come appunto quella del solitario Rodolfo.
Per iniziare, c’è Riccardo Lolli che riprende rispettoso La Fenice, per piano e voce; poi il gruppo Manuel Pistacchio trasforma(no) Le aquile, pregna di umori wave, in un pezzo post moderno. Stefano Barotti con Guance bianche, il “nostro” Jet Set Roger con Niente, Davide Matrisciano con Amsterdam flirtano con le canzoni che Santandrea portava tra l’83 e l’84 nelle trasmissioni televisive, curiose e spiazzate dalla sua essenza enigmatica, al passo coi tempi elettronici ma nel contempo, irriducibilmente, “altra”. Anche Sui marmi di Carrara ‒ elaborata da Le Forbici di Manitù ‒ proviene da qual periodo.
I finali tre (senza tenere conto del Capriccio fenice di NichelOdeon con Filippo Manini, eccentrico e tremendamente ambizioso al solito Claudio Milano) recuperano brani dei due album “finali” di Santandrea: Un’arancia dei sommi Maisie e Un delfino di Paolo Zangara provengono dal paradossalmente ostico e rilassato “Aiutatemi, amo i delfini” (espressione che l’artista, mandato a spacciare svogliato i suoi incredibili versi a “Un Disco per l’Estate”, rivelò di aver ritrovato su un muro di Roma e di aver ripreso perchè “comunicativa”…), ebbro di canzoni svagate e prolisse. Alice, scabra e “rock” nella versione degli Ossi, viene dall’ultimo, tardo e alquanto opaco (almeno per chi scrive) “Anni”.
Una compilation sentita, soprattutto.
Voto: 8/10