(ENW 2023)
Registrato (non ho capito bene dove) quasi per caso, e salvato così dall’oblio, dal tecnico del suono Klaus Endel, l’incontro tra il leggendario batterista Günter Baby Sommer, il bassista recentemente scomparso Jürgen Wuchner e il vibrafonista Christopher Dell è uno di quei momenti felici, irripetibili e quindi irripetuti, che la musica improvvisata ci può offrire. La performance è del 2006 e ciò spiega perché le foto che ritraggono i musicisti ci presentano un Christopher Dell alquanto ringiovanito rispetto all’ultima volta che lo incontrai (due anni fa a una biennale d’arte contemporanea a Berlino). È un vibrafonista eccezionale, capace di improvvisare come pochi/e, costruendo mirabilmente intrecci sonori, strutture architettoniche e atmosfere espressive; ma è anche un pensatore acuto che ha scritto alcuni importanti testi sull’improvvisazione – non solo in riferimento alla musica.
Il disco si apre però con Sommer che apre le danze, anzi i rituali sciamanici, con un canto appunto sciamanico che emerge da un brulicante tappeto di piatti, campane e percussioni e che tornerà verso la fine del primo brano (Solidarity). Poi il groove cresce, alimentato non solo dalla batteria, ma anche dal ricco virtuosismo di Dell, e dall’energia sapiente di Wuhner – che alterna ostinati incisivi a graffianti figure ornamentali. E ci accompagnerà per il resto dell’album con un’intensità e una forza magnetica che definirei liberatoria, senza mai dimenticare la raffinatezza dei dettagli, e alternando meravigliosamente l’apporto solistico a un interplay in cui il contributo dei singoli è perfettamente funzionale alla realizzazione di una compagine sonora di gruppo, che va dove la porta un sentiero che si costruisce camminando. A volte girovagando con una squisita calma espressiva intrisa di curiosità e cura per il particolare – come nell’assolo di vibrafono di Ways of Cohabiting; altre affrettando aggressivamente il passo alato verso mete siderali – come in Pluriversal Forms e nella prima parte di Spirituality. La quale poi con gli assoli di contrabbasso e batteria apre a momenti più raccolti, ma non meno energicamente esplosivi (il suono di quella che mi sembra una campana tibetana che sorge dall’assolo di Sommer nella parte centrale della performance è da solo un interludio carico di, come posso chiamarlo, misticismo?) prima di indurci, talvolta scuoterci, nuovamente alla danza.
Ascoltatelo. È un frammento della storia della (cosiddetta libera) improvvisazione musicale europea.
Voto: 9/10